domenica 30 dicembre 2012

Il signor Domenica


Il signor Domenica



Quella luna balorda sembrava fatta di formaggio tanto era gialla. Quasi puzzava come una caciotta stagionata. La pioggia cadeva fitta fitta. Ma tutto questo era niente. Quello che a Berto dava più fastidio erano i vagabondi. Erano tutti uguali: sdentati, con pochi e sporchi capelli in testa, la barba bianca e incolta. Li trovavi agli angoli delle strade o anche lungo i marciapiedi, con un pezzo di cartone su cui era scritta la loro infelice storia. Si spacciavano per maghi, indovini, stregoni mitici. Prometevvano di poter predire il futuro o di poter augurare la buona sorte. Erano tutti lì, a mendicare pane in cambio di quella che loro chiamavano verità. Berto si limitava a guardarli con disprezzo, proteggendosi dietro l'ombra paciosa e rassicurante dell'amico Stanley. Chiedeva continuamente quanto mancasse alla loro meta. <<Poco, poco>> rispondeva Stanley, <<Vedrai, questa sera ti faccio divertire sul serio>> aggiungeva poi. Quella sera Berto implorava per il divertimento. Aveva una donna da dimenticare, una donna bella come il sole e lunga tre anni. Il loro era stato un addio scortese: lei gli aveva detto il peggio che potesse dire e poi se ne era andato. Berto ci era rimasto malissimo. Stanley,dopo una breve telefonata all'amico, aveva fiutato l'aria melanconica ed era corso ai ripari, invitando Berto fuori in un locale che conosceva solo lui, ma che diceva essere perfette per quella serata. Si chiamava "Boston" ed era frequentato da molti americani che vivevano lì in città. Non era un locale come gli altri, era un locale jazz. Berto camminava impaziente,stringendosi nel cappotto per proteggere il suo prezioso smoking dalla pioggia battente. Stanley reggeva un enorme ombrello sopra le loro teste, quando in lontananza vide l'insegna blu neon del locale lampeggiare. Si rivolse a Berto, gli fece un sorriso. <<Siamo arrivati?>> chiese Berto, Stanley annuì, accelerò il passo e si presentò in un batter d'occhio davanti all'ingresso del locale. Un buttafuori dall'aria anziana e gentile li squadrò, poi li fece passare, prendendogli l'ombrello, chiudendolo e mettendolo in uno dei due grandi e stracolmi portaombrelli appena dopo l'ingresso. 

domenica 23 dicembre 2012

Pazzo Aeroplano


Pazzo Aeroplano

Solo un’ora è passata, il cielo ancora sembra pauroso, la mia testa è piena di canzoni penetrate attraverso le cuffiette, pezzi di tristi memorie. Queste ali volano alte, qualcuno sul sedile accanto pare si stia sfidando ad un gioco d’amore, ma io non ne ho voglia, appena saremo fuori dalla vista dei radar proverò a dormire di nuovo. Passa una hostess dalla faccia tirata, mi offre uno snack alla nocciola e un tè riciclato, li accetto con diffidenza, guardo attraverso il finestrino, una nuvola passeggera mi saluta e mi deride perché è più veloce di me. Ci sono facce sorridenti dietro l’oscurità che percepisce quell’uomo cieco proprio laggiù in prima fila, ci sono barzellette continue,scambi di baci e di fantasie. C’è chi non smette mai di lavorare e continua a battere i tasti sul computer, come se non si accorgesse che siamo persi dentro questa enorme distanza in costante dilatazione. Un uomo di mezza età si alza in piedi all’improvviso e, ignorando i rimproveri delle hostess, grida al tizio cieco “Quanto manca all’arrivo?”. Quello risponde che manca poco. Perché farsi problemi di tempo, penso io, quello che ci vorrà ci vorrà, tanto ormai le promesse mattutine fatte agli amanti si sono già spezzate, è inutile rincorrerle come bambini dietro ad un pallone. Adesso le nubi hanno eclissato il sole, il motore ha iniziato a riempirsi di gas e di energia, non vede l’ora di sprigionare la sua forza rabbiosa.
Siamo su questo pazzo aeroplano. Siamo pronti per fare la storia? Siamo nascosti, al sicuro dalle nostre vergogne, protetti dai nostri rimpianti, stiamo affondando pian piano verso la felicità. Siamo su questo pazzo aeroplano, dove i peccati non contano più tanto ormai,sono come mali annegati nel fluido inebriante delle nuvole in circonvoluzione, è il meglio che potrebbe capitare a gente come noi. Il viaggio si fa interessante, proiettano un film d’azione, mi ricorda i giochi che facevo da bambino, ladri e poliziotti, pirati e corsari. La voce del pilota, rassicurante come un parroco di campagna, esplode la sua filastrocca di auguri attraverso gli altoparlanti. Il buon viaggio è assicurato, la temperatura interna è quella giusta, i sorrisi delle hostess sono sinceri.
C’è una tempesta improvvisa, proprio davanti  me c’è una donna che inizia a pregare, si accoccola tenendo in mano le sue dieci catenine d’oro. Recita rosari in chissà quante lingue diverse stringendo quei gioielli, come se morire da ricchi fosse più difficile. E’ invidiosa di tutti quelli che dormono tranquilli, che non si curano degli scossoni, che si fidano ciecamente del comandante e della sua abilità. La pioggia che comincia a cadere assume un colore strano, con riflessi viola e bianchi, buca le nuvole, le trafigge senza pietà e bagna con violenza la fusoliera, il muso , le ali del velivolo. Il film è finito, le hostess applaudono divertite, io mi lascio sfuggire uno sbadiglio, qualcuno ride vedendomi, io rispondo, qualche battuta salace e si ritorna ad aspettare. Ormai con il ruggire crescente della bufera anche i lavoratori più inferociti spengono i computer, smettono di battere, si aggiustano il nodo alla cravatta. Le ragazze e le donne più giovani prendono specchietti dalle loro borsette, si aggiustano i capelli, si danno una spruzzata di profumo. Gang di bambini spensierati corrono all’impazzata inutilmente redarguiti dalle hostess, osservano stupiti le periferie dell’universo, attraverso cui stiamo viaggiando. Sulla grande autostrada del cielo tutti conserviamo nella mente sogni di gloria e di infinite opportunità.
L’ultimo e più violento scossone causato dalla tempesta fa sbattere la testa alla mia compagna di viaggio, seduta accanto a me. Il suo sospiro strozzato successivo alla botta si spande per l’aria intorno e per un momento tutti ci mettiamo a riflettere. Se non fossimo mai partiti? Se il gelo avesse bloccato gli aeroporti, se il mondo si fosse ad un tratto fermato? Un pezzo di tempo e di vita cancellato per sempre. Le risa dei bambini ci fanno tornare il buonumore, un nuovo messaggio del comandante annuncia che fra pochi minuti saremo atterrati, finalmente. Guardo fuori dalla finestra, il sole splende, la pioggia continua, ma non posso vedere alcun arcobaleno.
Siamo su questo pazzo aeroplano, un milione di miglia giace sotto i miei piedi. Cominciamo di nuovo la nostra eterna danza, amore e morte, vita e dolore, le stesse idiozie in un breve lasso di tempo. Il passato benedetto ed il futuro si annullano non appena cominciamo a percepire il movimento in picchiata dell’aereo, stiamo puntando verso il basso, le nuvole iniziano a diradarsi, una pista bianchissima appare in lontananza ai miei occhi. Qualcuno si prepara, si infila il giubbotto, qualcuno tenta invano di chiedere perdono per il male che ha fatto. Le hostess chiedono se il viaggio sia stato di nostro gradimento, rispondiamo in coro di si, tanto a questo livello non conta molto. L’aria fuori balla scatenata, è davvero una bella giornata. La mia vicina di posto ,dopo essersi ripresa dal colpo, si rimette in ordine i capelli biondissimi, sembra davvero una fata. Prende il suo cellulare ,lo spegne , tanto ormai non la chiamerà più nessuno.
Si annebbiano gli schermi, la musica smette di andare, i sorrisi cedono il passo ad un leggero senso di indecisione, paura e curiosità di visitare un posto nuovo, indimenticabile. A nulla serve prepararsi, lo stupore e lo sgomento rimangono gli stessi. Tanto vale partire all’improvviso, senza programmare nulla, lasciando al destino il destino e abbandonandosi alla sorpresa.
Siamo su questo pazzo aeroplano, siamo al nostro ultimo viaggio, quando i fantasmi delle nostre vite ci porteranno via da casa, dalle nostre madri imploranti, allora scenderemo, toccheremo una nuova terra, terra straniera, e lì rimarremo in eterno.  

sabato 1 dicembre 2012

Effetti collaterali

Effetti collaterali


Proprio qualche minuto fa sono stato informato da Biagio l'Originale a proposito di un articolo in cui si sosteneva qualcosa che sarebbe piaciuta al Woody Allen di una volta. Un farmaco sperimentale contro il morbo di Parkinson potrebbe avere quale effetto collaterale la dipendenza dal sesso omosessuale. 
Posso ripeterla? Un farmaco sperimentale contro il morbo di Parkinson potrebbe avere quale effetto collaterale la dipendenza dal sesso omosessuale. Sorgono diversi dubbi di natura scientifica? Prima questione: chi va a colpire l'eventuale effetto collaterale? Insomma, è qualcosa che rende gli omosessuali dipendenti dal sesso, o qualcosa che rende omosessuale chi non lo è? Seconda questione: come si manifesteranno questi misteriosi effetti collaterali? Capiterà che una mattina spariranno i tremori alle mani del paziente, ma tremerà qualcos'altro? Oppure saranno crisi nel bel mezzo di una passeggiata per strada o ,peggio, nello spogliatoio della palestra? Mentre la comunità scientifica tace, il popolo è in subbuglio. Fin dove si è spinta la scienza? Quale sarà il prossimo passo? Forse una pasticca per la gola che in taluni casi provocherà un cambio spontaneo di genere sessuale? Oppure un viagra che debellerà il raffreddore? 
Ma, soprattutto, qual'è la rivista che ha diffuso questa notizia?