Quando a oriente sorge il sole
Rimane un sapore
strano in bocca quando finisci di raccontare le tue storie, e cerchi di
mandarlo via respirando sempre più forte,poi però ti riduci solamente a
disperdere il tuo ossigeno nel cielo che ti maledice dall’alto e ti mostra la
sua strana e luminosa oscurità.
Qualche volta
capita che il freddo intenso della notte riesca ad accendere le stelle,e a
farle scoppiare,come tanti piccoli fuochi che si liberano e sciolgono il
ghiaccio funereo sulla strada. Due fiaccole mi circondano e mi riscaldano
mentre appena fuori dal portico resistere al freddo diventa impossibile. L’aria
sembra un coltello,tagliente come le risate di quelle due guardie appoggiate al
muro di cinta; si divertono a prendersi gioco di me e chissà quante battute si
stanno dicendo adesso, maledicendomi con la più tetra ironia possibile, tronfi
e superbi, dall’alto della loro potenza e della loro superstizione,perché i
vagabondi sono messi del diavolo,e vanno allontanati. E’ strana questa storia:
non la conoscevo fino a quando un giorno,da ragazzo, mi trovai a parlare con un
soldato di ventura lungo la strada che dal fiume porta alla città,e dove
qualche anno fa i sentieri erano coperti di cadaveri. Quel soldato, ricordo,
era più strano delle parole che pronunciava, con i suoi folti baffi e la sua
divisa sgargiante,sembrava un angelo giullare che di corte in corte vagava e
vendeva le sue fandonie al prezzo di una zuppa calda. Mi raccontò la sua storia
sui vagabondi,e da allora io sono disposto a venderla per meno di un tozzo di
pane; qualche volta mi chiedo cosa mi direbbe se lo incontrassi oggi,ed ho
quasi paura di sottopormi al suo giudizio.
Prendo con la
mano l’ultima briciola che mi rimane da mangiare,nel piatto gli spiccioli di
un’elemosina ormai dimenticata, che un bambino mi donò la notte di Natale. Il
sapore del pane di città è quanto di più disgustoso possa esserci,ma è l’unica
cosa che ho,e lo stesso forse sta pensando quella graziosa donna dai capelli
bruni che ora passa con un libro di poesie in mano per la via su cui mi
affaccio. Persino le guardie smettono di ridere e si fermano a guardarla,ma lei
non degna loro di un’occhiata, si gira invece verso di me,e gli angoli della
sua bocca si tendono fino a creare,come un demone dal fuoco, un misterioso e glorioso
sorriso.
Ogni suo passo
si fissa nel candido scorrere del tempo come un momento indistinto e dal
significato oscuro, e non appena il suo petto si muove seguendo il respiro ,la
magia della mistica visione lascia che lampi silenziosi illuminino il cielo e
colpiscano ogni uomo lasciatosi ammaliare da
quell’effimero
desiderio che è la certezza d’amare; poi,quando il passo ed il respiro si
esauriscono nei rivoli della notte, la normalità torna sovrana, tacita
guardiana di una bellicosa quanto insignificante rivoluzione.
Colpisce anche
me la passione,e ,malgrado tenti di nascondermi portando al volto le mani,le
pupille sconquassano l’iride nel disperato tentativo di rispondere a quel
sorriso. Ben presto,quando ogni resistenza viene facilmente vinta, la forma
degli occhi cambia, due leggere lacrime lasciano i propri destini brillare alla
luce delle fiaccole, cadono con lentezza quasi da litania sulle mie guance
secche e,nonostante la bocca sia paralizzata, la sensazione stessa del sorriso
lascia il mio corpo ed arriva a quello di lei, di una donna davanti a questo
lurido vagabondo.
Le guardie
riprendono a scherzare ed una di loro si avvicina mentre cado come in
estasi,fino quando un altro sguardo mi ridesta e mi fa rabbrividire, poi
solamente lo sghignazzo e la prepotenza, quando la donna già se ne è andata,e
ha voltato l’angolo.
Non è vero che
la notte le strade siano deserte: oltre alle guardie si vede,talvolta, passare
della gente, ed ognuno racconta la fiaba di una vita che solamente il gelido
torpore delle tenebre riesce ad estrarre dalle menti incatenate.
I ladri,che
rallentano il passo per non farsi notare e che cercano di nascondere con il
tremolio il sudore freddo che scende dal viso. Solitamente tengono sempre una
mano dentro il mantello,a protezione del loro bottino,e non fanno altro che
sorridere ai gendarmi mostrando vecchi e scoloriti denti d’oro. Eppure mi
sembrano così ingenui, e mi accorgo che sono lontani i tempi in cui anche io
dilettavo il mio spirito e la mia sofferenza nell’arte del rubare; e se un
pallido ricordo sono le botte che mi diede un giorno un capitano di polizia,
colpendomi nel petto con un bastone, riesco ancora a rammentare quello strano
sentore che il mio corpo provava ogni volta che la rapina si trasformava in
fuga:non riuscivo a capire chi mi inseguisse,e mi sembrava di inseguire, come
fossi stato uno stupido innamorato che corre per far ritorno dall’amata. A
volte avevo voglia di cantare,altre volte urlavo semplicemente ,e quel giovane
giocare si esauriva nello spazio di un canale e nel tempo di una semplice
percossa.
Tante volte ho
rubato e altrettante volte sono stato catturato,per questo oggi mi chiedo come
facciano i ladri a farla franca,se non valgono un dito di quello che valevo io
allora.
Spesso le
guardie li ignorano, lasciano che il sogno di un pezzente diventi realtà, ma è
solo un’elemosina, uguale a quella che mi fanno oggi i bambini. Il ladro di
strada si accompagna sempre con un cane randagio,che abbaia alla luna e che
muore divorato dalla fame e dalla peste.
Piccole servette
si lasciano intenerire dalla vista dei cani,e sopportano di essere infettate
dai neri bubboni pur di accudirli. A volte scoppia un’epidemia in città,ed è
allora che i ladri dovranno subire la vendetta, e la tortura sarà tremenda
Colonne di
luridi schiavi attraversano le strade, il loro tanfo è insopportabile e la
gente si copre il volto con la veste. Io li osservo solo la notte, quando i
loro padroni li lasciano scorrazzare liberi per i quartieri malfamati,ed allora
iniziano le orge e i bordelli si riempiono.
La casa chiusa
all’angolo della strada ha l’insegna di un fiore primaverile, il custode è un
vecchio dalla barba bianca. Mi sta guardando,io guardo lui ed inizia una sfida.
So di peccare d’infantilità, ma solamente se riuscirò a sbagliare così tanto da
persistere in questa spregevole idiozia potrò vantarmi fra i dannati
dell’inferno,quando sarà arrivato il mio momento, di essermi meritato un posto
in mezzo a loro.
Passano schiere
di giovani vagabondi, dalle loro tasche escono monete d’oro ed il peso della
loro testa rasata a zero schiaccia le loro schiene e comprime i polmoni.
Respirano l’incenso che esce fuori della moschea, e paiono disorientati dal
profumo, abbaiano al suono di un liuto, che un vecchio mercante suona
all’angolo della strada. Il mercante mi guarda e mi rivolge un sorriso pieno di
disprezzo: a lui racconterei volentieri una delle mie storie, magari proprio
quella del mercante di schiavi e del tesoro all’ombra di una palma del deserto.
Credo che la potrebbe apprezzare,perché è un uomo di mondo.
All’improvviso
il mercante smette di suonare,ed alza lo sguardo come incantato, fissa con
occhi arrossati dal pianto la strada dove proprio adesso passa una mezzana. Le
sue dita sono indecise fra il premere sul legno dello strumento o lasciarlo
andare senza alcuna tensione. Una corda si spezza.
Solo i vecchi
sanno soffrire per passione, e solo loro riescono a cogliere nel profondo il senso
che il corpo di una donna vuole comunicare. L’esperienza ci insegna a
distinguere fra lo sguardo e la parola, fra il pensiero ed il desiderio.
Non resisto alla
tentazione ed alzo lo sguardo, rifugiandomi ancora una volta nel mio vecchio e
consunto mantello.
Nel brivido di
un istante, tutte le mie riflessioni,annegate in un sospiro, si perdono nel
gelo degli occhi vitrei della mezzana, la pupilla illuminata dalle fiaccole
riflette sul corpo l’immagine di una donna ,che a stento pareva essere reale.
La vedo, e mi accorgo di quanto sia bella, avvolta in un peplo color del mare,
le cui pieghe assumono la forma ed i contorni delle onde. Scivola leggera la
sua mano sul fianco destro,ed il mio sguardo la segue ammaliato. Tento di
cercare i suoi occhi ancora una volta,ma il suo viso è lontano. Soltanto la
pura sincerità del suo corpo placa la mia sete d’amore. Provo a pensare quante
volte sia passata su questa strada e quanti vecchi vagabondi abbia stregato.
E’ stata
l’ultima ad uscire dalla casa chiusa, dopodichè il custode ha sprangato la
porta. La donna ha ancora con sé l’odore pesante dolciastro di quel posto,meta
di pellegrinaggi quanto un luogo sacro, dimora di riottosi, topaia di dannati
che sperano,in un letto sudato,di trovare la strada per la salvezza e per la
soddisfazione. Ogni giovane meretrice che esce dal quel posto ha lo stesso
sguardo di ghiaccio,gli occhi appena sbarrati, che fanno da contraltare
all’inevitabile frustrazione delle loro membra, ferite e sanguinanti, ma ancora
disposte a farsi succhiare.
Ad un certo
momento,ridestandomi dai miei pensieri, ascolto un gemito, un gemito sussurrato,e
mi volto verso il suonatore di liuto, credendolo piangente,poi,trovo la
soluzione sempre nella stessa donna, i cui occhi ora provano a sciogliersi. Le
lacrime si distinguono appena ,oscurate dal buio, ma la loro presenza si
avverte anche solamente con l’anima. Il lungo vestito azzurro si stringe
attorno al corpo,che di colpo si irrigidisce, i capelli neri si muovono per un
attimo con una folata di vento, ed il pianto ricomincia, ancora più forte.
Mi alzo un poco
allora, e mi concentro nell’ascoltare: nel suono di quel gemito mi pare di
sentire l’intera città, addormentata nella notte fredda, vittima delle sue
delusioni e dei suoi brutali istinti.
Il gelo si è
fatto più pressante e i respiri, uscendo dalla mia bocca, si condensano dando
forma a vere e proprie nuvole di fumo, presto dissolte nell’aria. La mezzana,a
passo lento, lascia la via e devia,risvegliando l’attenzione delle due guardie,che,una
volta che lei è passata, esprimono il loro biasimo bigotto in una semplice
battuta,poi riprendono a scherzare. La guardia più giovane ha nella cintura un
coltello, spesso lo tira fuori dalla custodia in pelle e si diverte a
palpeggiarlo con le dita,cercando i suoi riflessi d’argento e di terrore,per
lui passione accecante. Qualche volta punta il coltello dalla mia parte,come
per intimorirmi, ma sono troppo stanco per dargli soddisfazione. Il vecchio che
suonava ha posato lo strumento ed ora è addormentato,con la bocca aperta
rivolta verso il cielo. Ha un aspetto orribile,ma mi incuriosisce; vorrei
conoscere la sua storia,vorrei che mi cantasse una canzone, un qualche antico
canto popolare,scritto magari da un ragazzo di strada in un bordello poco prima
di essere accoltellato.
Le musiche che
riempiono i teatri e le locande alla sera non mi danno l’impressione di essere
vere. Una volta conobbi un pescatore,che scriveva ballate con l’armonica in
riva ad un fiume,in attesa che qualche pesciolino malcapitato abboccasse alla
sua misera esca. Diceva di scrivere canzoni per passare il tempo, perché la
noia gli faceva nascere dentro la tristezza. Non ho mai sentito nessuno suonare
come lui e, dal giorno in cui mi salutò per partire verso ovest su di una barca
rattoppata,ancora aspetto di ascoltare di nuovo le sue canzoni. Ora l’unica
musica che sento è lo strano e disperato miagolare di un gatto,accasciato sopra
la bancarella di un verduraio,completamente vuota. Di giorno il brulicare di
vita vicino ai negozi è incredibile, gli odori acri di spezie e di carni
frollate, di verdure colorate o di frutta fin troppo matura stimolano la
fantasia,oltre che l’appetito, dei passanti. In ogni negozio o bazar c’è
qualche animale, che spesso è un cane o un gatto. Loro restano anche la
notte,abbandonati dai loro padroni, e le scorribande in cerca di qualche avanzo
di cibo sono la paura di ogni mendicante.
Stasera però il
mio piatto è pieno di polvere mista alle lacrime e al sangue, ed allora posso
guardare senza timore che qualcuno disturbi la mia quiete. Il gatto avverte
quando c’è un nemico nelle vicinanze e,veloce come un fulmine, scappa lontano.
Ora che con il suo grido felino sta fuggendo,vedo passare il cane che lo
insegue, ma è troppo lento, non lo raggiungerà mai. Un pianto indistinto
risponde all’abbaiare insistito del cane: probabilmente è un bambina,che vive
nelle case verso la fine della strada. Le famiglie che abitano lì sono tutte di
operai o di stranieri, il cui digiuno più che una penitenza è una necessità. I
loro figli hanno sempre vestiti stretti, cuciti dalle madri mettendo insieme
qualche vecchio straccio.
Prego per quella
bambina, il suo pianto si placa,ma domani mattina sono sicuro che ricomincerà.
Le risate delle
due guardie sono più lontane, forse hanno voltato l’angolo anche loro, stanchi
di dover sopportare la presenza di un pezzente. Il vecchio addormentato sulle
seggiola pare morto e quasi mi fa paura. Il freddo è sempre più intenso ed
allora capisco che deve essere veramente tardi. Qualche fiaccola comincia a
spegnersi,ma la strada rimarrà ancora viva,almeno per qualche minuto.
Vedo passare
un’altra guardia,disarmata, che mi scruta senza proferire parola. Di tanto in
tanto gruppi di due o tre ragazzi,che a stento si reggono in piedi,
attraversano lentamente la strada, e,vedendo attraverso il portico la mia
faccia,sorridono disordinatamente.
Qualcuno di loro
forse,stanotte morirà, per colpa sua o per colpa d’altri,ma in fondo sono cose
che succedono,e per cui non scomodo più nemmeno la mia pietà.
In un attimo
sento arrivare da lontano un cigolio,che diventa sempre più forte,poi più
niente.
Ogni notte
arriva il momento di essere soli,e bisogna prepararsi non ad affrontarlo,
quanto ad accettarlo. Sarà per il freddo che mi apre le ferite,o per la
malinconia che si respira stanotte,ma non riesco a prendere sonno e, se provo a
chiudere gli occhi,sento solamente l’attesa divenire sempre più insostenibile.
Sono costretto a guardare questa via e quel vecchio a bocca aperta,finché lo
schifo di questo posto convincerà il mio corpo a dormire. Una lacrima scende
dai miei occhi e bagna la mia mano, che d’un tratto si stringe forte fino a
fare male. E’ tutta la vita che aspetto ,ed il mattino è ancora lontano.