Il ventesimo Natale
Quando Bartolini Francesco arrivò a Camugnano per Natale insieme
alla sua nuova ragazza, si fermò con la macchina davanti alla vecchia casa dei
nonni e respirò affannoso mentre contemplava Martina. Il giornalaio dall’altra parte della strada
lo guardò con un occhio distratto. Tutti sapevano che quel Natale non sarebbe
venuto da solo. Pareva impossibile. E quando Martina scese dalla macchina la
fruttivendola e il fornaio, con il grembiule sporco e pochi clienti quella
mattina del ventitré, s’accorsero che quella ragazza non sarebbe piaciuta.
Eppure non era brutta. Nemmeno bellissima, però aveva begli occhi, era alta
poco più di uno e sessanta e vestiva con grazia. Forse il naso un po’ troppo
grande, ma non poteva importare troppo. La prima smorfia la fece Valerio, il
cugino piccolo di Bartolini. Martina non ci fece caso ed aiutò a tirar fuori le
valigie dall’auto. I nonni vennero ad aiutare. Il giorno stava calando e dentro
casa era già acceso il camino. Era pronta la lasagna e la nonna aveva fatto la
torta quel giorno. Bartolini teneva per mano Martina, senza accorgersi delle
risate del giornalaio dietro di lui. Forse lo prendevano in giro. Nella taverna
accanto zii e prozii si godevano ancora gli ultimi scampoli di tramonto vicino
a una bottiglia di vino. Era un Natale non troppo freddo. Era un Natale triste.
Quando s’alzarono e si diressero verso casa per cenare tutti assieme, si
chiesero come sarebbe stata mai la nuova ragazza di Francesco. La prima ragazza
di Francesco. Carla non ci credeva, e trascinava il suo bambino quasi
sgraziatamente per la strada. Non vedeva l’ora di vedere. Suo fratello
Francesco non era più da sola. Ma le sue speranze sarebbero state deluse, la
avvertì la fruttivendola. Cosa c’avrà trovato mai in Martina? Carla aveva anche
preparato due tazzine di ceramica per Francesco e Martina. Ci aveva scritto
sopra le iniziali. Ma non era più sicura di consegnarle. Non le andava di fare
Babbo Natale. Si sentiva già abbastanza vecchia per il fatto di dover tirare
avanti tutti i giorni da sola, in più col bimbo che frignava. Entrarono in casa
con le loro chiavi, senza bussare. La nonna s’accorse di lei solo dal pianto
del bimbo. Bartolini Francesco non disse niente. Era seduto al tavolo, e
guardava il lampadario. Fuori era buio pesto e adesso stavano rincasando anche
zii e prozii. Erano tutti. Insieme. Valerio si divertiva a far battute acide
sugli animali col nonno, e Carla si sedette sulla poltrona ,sfinita. Aveva un
pacchetto in mano, ma nessuno le chiese cosa fosse. Non lo posò ai piedi
dell’albero. Non si fermò a guardare il presepe che la nonna aveva fatto tutto
da sola. Guardò di sfuggita Martina e pensò che avesse il naso troppo grosso.
Sorrise al suo bambino e se lo mise in braccio coccolandolo teneramente.
Bartolini vuotò il bicchiere d’acqua che aveva di fronte a lui, e prese ad
accarezzare le ciocche castane di Martina. Hai dei bei capelli, disse, ma
sottovoce per non farsi sentire. Valerio sentì lo stesso e distolse lo sguardo
da quell’orribile naso, che fu notato anche dallo zio Romano che aveva già
parlato anche col giornalaio, e si era convinto anche lui che quella ragazza
non fosse un granché. Come vi siete conosciuti? Chiese Carla, e Bartolini
Francesco lasciò parlare Martina. Ma lei si vergognava. All’università, disse
arrossendo tutta. Che brutta l’università, strillò Valerio ,e poi la nonna gli
disse di sedersi, che bisognava iniziare a mangiare. Quel giorno le lasagne era venute male. Quasi
bruciate. Martina mangiò tutto senza dire niente. Non le piace, disse Carla
alla nonna, è vero Martina? Lei non rispose, e lo zio Romano rise. Anche a lui
facevan schifo quelle lasagne. Era un Natale in famiglia. Era tanto tempo che
Carla non veniva a Camugnano. Aveva avuto i suoi bei problemi,ma non aveva
voglia di parlarne. Raccontami di te, disse a Martina, ma lei fece intendere
con un silenzio che preferiva tener la bocca chiusa. Ma ti hanno rubato la
voce? Chiese lo zio Romano, e Bartolini Francesco strinse la mano alla sua
morosa, e la strinse più forte che poteva. Fuori iniziava a far freddo. Lo si
capiva dal vento che muoveva le cime degli alberi e che andava a sbattere
contro i tetti. E’ bello star qui, disse Bartolini, e Carla sorrise. Suo
fratello le mancava. Avrebbe avuto tanto bisogno di lui al suo fianco. La
bottiglia di vino era quasi vuota, e il nonno s’alzò per prenderne un’altra.
C’era aria di festa. Il bimbo di Carla mangiava docile la sua pastina, mentre
la mamma continuava a guardarlo, e a tratti lanciava smorfie abbozzate contro
il naso di Martina. Bartolini non capiva cosa non andasse. Hai dei begli occhi,
disse alla ragazza, e lei arrossì di nuovo, senza riuscire a parlare. Ora
arriva la torta, disse la nonna, e a Bartolini parve di essere in un sogno. Aveva
sognato un bel po’ di volte di far
assaggiare quella torta speciale ad una persona che gli stesse accanto. Tutte
le volte aveva sempre mangiato la sua fetta da solo. Un anno Carla, per
consolarlo un po’ un periodo che era triste e lo studio andava male, aveva
preparato la stessa torta, ma il suo marito di allora l’aveva mangiata quasi
tutta ed aveva anche detto che faceva schifo. Ora Carla era così presa dal
lavoro che non poteva certo mettersi a far torte. Ci pensava la nonna, anche se
con più fatica di un tempo. Un fulmine catturò l’attenzione di tutto, ed il
crepitio del fuoco mentre fuori la pioggia prendeva a infuriare fece capire a
tutti che si trattava di un bel Natale. Tutto il paese era in casa, per le
strade non c’era nessuno, a parte l’auto di Bartolini Francesco, martoriata
dall’acquazzone. Non si rovinerà la macchina? Chiese la nonna. Non
preoccuparti, rispose Bartolini e dopo aver mangiato la torta chiese a Martina
se le fosse piaciuta. Lei annuì. Bartolini, ti senti sicuro di te oggi? Disse lo
zio Romano, e Bartolini disse sì. Valerio gli rise addosso, ma la nonna gli
diede uno scappellotto ed allora restò zitto. Bella ragazza, ma quel naso,
disse il nonno allo zio, e Martina non aveva sentito, e continuava a sorridere,
ed era la prima volta che le capitava di passare il Natale con un ragazzo
accanto. La casa era calda e illuminata di tenue luce rossa. Era bello, anche
se strano. State bene insieme, disse Carla a Bartolini. Avete programmi per i
prossimi giorni? Forse facciamo un giro per i paesini qua vicino, disse
Bartolini. Ma non c’è molto da vedere. Beh, cos’altro c’è da fare? Nulla. Carla
ora sorrideva più rilassata. Il suo fratellino era di fronte a lei, iniziava ad
arrossire anche lui. Si sentiva così piccolo. Vado a dormire, disse il nonno,
mentre la nonna già iniziava a lavare i piatti. Partita a carte? Chiese lo zio
Romano, ma quell’anno, per la prima volta, Bartolini non poteva. Non aveva
tempo di giocare. Io gioco, disse Carla. Ma tu non sai giocare. Gioco lo
stesso. No, se non sai giocare no. Lo zio Romano s’alzò, si versò un ultimo
bicchiere di vino. Salutò la nonna e disse arrivederci al giorno dopo. Carla
non lo salutò. S’era offesa. Beata la donna che riusciva a sopportare
quell’uomo, pensò. Fuori piove ancora? Chiese Bartolini. Sì, piove, non si può
uscire. Allora come va Carla? Abbastanza bene, si va avanti. Con il lavoro? Non
mi lamento, e tu come stai, l’università come va? So studiando per gli esami di
febbraio, spero vada tutto bene. E tu che studi Martina? Matematica. Mamma mia,
una ragazza che studia matematica, disse Carla ,e rise a più non posso. Ma che
brutto quel naso! Ora noi andremmo in camera, disse Bartolini. Fa’ pure,
esclamò la nonna, e poi chiese a Carla di aiutare a lavare i piatti. Devo
mettere a letto il bambino nonna, vengo quando ho finito. Perfetto. Allora
buonanotte. Buonanotte. Quella notte Bartolini non aveva molto sonno. Aveva
freddo. Fuori c’era una tale pace. Il rumore della pioggia conciliava i
pensieri. Come è possibile che io ti abbia trovato? Chiese Bartolini a Martina,
e lei non rispose. Era iniziato con un caffè insieme, oppure era un sorriso a
mensa? Non si ricordava più. E quanto tempo era passato? Qualche mese: due,
forse tre. Per loro, quell’anno,la nonna aveva preparato il letto grande, e ci aveva
messo le coperte rosse, quelle belle. Per Bartolini, quando era solo, non lo
aveva fatto mai. Non lo aveva mai fatto nemmeno per Carla. Mentre lavava i
piatti la nonna pensava. Speriamo vada tutto bene. Se solo non avesse quel naso
sarebbe perfetta. Carla scese già in pigiama. Ti aiuto, disse, e la nonna
sorrise. Ti sei ripresa dopo il divorzio? Chiese. Sì, almeno credo, rispose
Carla, ma non era troppo convinta. Mentre asciugava i piatti diede uno sguardo
veloce alla finestra. Fuori pioveva ancora. Le vecchie stoviglie di rame sopra
al ripiano del camino brillavano di luce propria. Il loro luccichio invadeva
tutta la stanza, rendendola magicamente più calda. O forse era solo il fuoco.
Carla iniziò a sudare. Quanti anni hanno quelle stoviglie? Tanti, rispose la
nonna, me li aveva dati mia madre come dote, da portare in casa dopo il
matrimonio. Da quanti anni non le usi? Troppi. Perché non prendi a riusarle?
Sono troppo vecchie, proprio come me.
Non dire così nonna, fece Carla, io mi sento più vecchia di te. Secondo
te durerà per Francesco? Non lo so, per me no, è impossibile. Hai ragione, è
impossibile. Bartolini Francesco era quello che non ci riusciva mai. Poco più
tardi Carla, salendo le scale, notò la luce nella camera dei morosi ancora
accesa. Non era troppo tardi, ma lo era abbastanza, così bussò. Bartolini disse
avanti, e c’era lui da solo a guardare la finestra. Dov’è Martina? E’ in bagno.
E’ bella, disse Carla. Lo so, rispose Bartolini, ma non stava sorridendo, e il
suo cuore batteva forte, Carla lo poteva sentire. Che hai? Gli chiese. Niente,
rispose lui. Non ci credi neanche tu che non sei più solo, vero? Bartolini
annuì, poi Martina entrò nella stanza. Sorrise. Carla se ne andò augurando la
buonanotte a tutti e due. Pochi minuti dopo il bimbo di Carla prese a frignare,
al punto che anche il nonno si svegliò . Bartolini chiuse la porta a chiave, si
girò per guardare Martina nel letto. La lampada era accesa. Un bicchiere
d’acqua sul comodino. Hai sete? Chiese Bartolini, Martina annuì. Perché siamo
qui? Disse, e la ragazza parve capire, ma non disse niente. Non ne aveva più la
forza. Chiuse gli occhi cercando di abbandonarsi al sonno, e Bartolini la
guardava da lì vicino. Le prese la mano, gliela baciò delicatamente, provò a
ricordarsi del giorno che gli aveva detto “sì”, ma non ci riuscì. Forse era
stanco anche lui. In paese c’era aria di stanchezza. Era morta la moglie del
giornalaio, poi il marito della fruttivendola. Tutti portati via dall’età. Ogni
anno ce ne era qualcuno di meno. Lo zio Romano ripeteva sempre che quel paese
portava sfortuna, e Carla gli dava ragione. Per questo non ci voleva mai
andare. Ma a casa sua doveva star sola, e non le andava più. Bartolini pensava
a sua sorella, ed un po’ gli veniva da piangere. Martina lo vide mentre apriva
gli occhi, e disse se fosse colpa sua. Che cosa? Il pianto, è ovvio. E’ colpa
mia? No, no, certo che no, perché lo pensi? E’ per il mio naso forse? Vorrei
tanto non averlo. Cosa c’entra il tuo naso? Martina sorrise, la sua voce usciva
impercettibile. Non sapeva parlare ad alta voce. Bartolini le baciò la guancia,
poi il collo, ma cercò in tutti i modi di non guardarle il naso. S’accorse di
averne paura. Fuori continuavano i pianti del bimbo e la finestra pareva quasi
cedere sotto il peso della pioggia. Ora dormi, sei stanca, disse Bartolini. In
quell’esatto istante pensò che Martina, prima o poi, se ne sarebbe andata. Era
rimasta terrorizzata da quella sera, o,semplicemente, aveva perso la voglia.
Capita sempre. Era capitato a Carla col marito. Sarebbe capitato anche a lui
con Martina. In quel momento però le voleva bene, e lei a lui. Dormi, dormi
tranquilla piccola, stanotte ci sono io accanto a te. Bartolini spense la luce,
e la stanza si fece improvvisamente più fredda. Chissà quale sarà il mio regalo
di Natale quest’anno, pensò, poi chiuse gli occhi. Una mano lo sfiorò. Era sua
sorella. Come sono andati gli esami? Tutto bene, disse lui, ma sono stanco.
Stai male? Sì. Perché? Cos’hai che non va? Credo d’esser stanco di star sempre
da solo. Ma non preoccuparti per queste scemenze! Prima o poi...lo sai che tua
nonna ti vorrebbe tanto vedere con una ragazza che ti voglia bene,però
trovatela carina… E’ il naso che non va, te ne accorgi? Quella non piace a
nessuno, poi non parla mai e non bisogna fidarsi…attento che quando meno te lo
aspetti quella se ne va e ti lascia disperato…dai retta a me, me ne intendo. Ma
perché non posso decidere da solo? E’ per il tuo bene, fidati. Ma perché non
posso volerle bene? Perché è impossibile che qualcuno voglia bene a te. Tu sei
quello che non ci riesce mai. Resta vicino a me ,Francesco, tua sorella ti
conosce e ti vuole bene, e vieni quest’anno in montagna a Natale, la nonna ti
prepara le lasagne e la torta alle castagne. La mattina dopo era avanzata una
fetta di torta. Stava lì accanto alla tazza col latte. Bartolini la vide, anche
se la sua vista era annebbiata dalle luci del mattino, dopo una lunga notte di
sonno. Mancava poco a Natale ormai. Bartolini disse buongiorno a tutti, sorrise
, poi si sedette e prese a mangiare. Quanto era buona quella torta, era un
momento da gustarsi solo con se stesso. Buongiorno Francesco, disse la nonna.
Buongiorno. Ciao fratellino, fece Carla, e sorrideva tenendo in braccio il
bambino. Ora non piange più? No, gli ho dato da mangiare. Il temporale della
sera prima era svanito. Quella mattina faceva tanto freddo, ma c’era il sole.
La radio trasmise una canzone natalizia e a Carla prese voglia di ballare.
Vieni Francesco, balla con me. Bartolini s’alzò un po’ controvoglia. Sono
troppo grande per fare ancora queste cose. Ma che sciocchezze! Vieni, balliamo.
La musica prese ad andare. Valerio scese e prese in giro il cugino che ballava
con la sorella, poi la nonna lo fece sedere e gli diede da mangiare. Sei
proprio un bel ragazzo, Francesco, disse Carla muovendo il bacino a tempo di
musica e facendo brillare i suoi grandi occhi azzurri. Sapete l’ultima? Sbraitò
lo zio Romano entrando di soprassalto dalla porta semichiusa e sorprendendo
tutti. Bartolini fece una faccia dubbiosa, oppure solo assonnata. Il figlio
della fruttivendola s’è trovato una morosa, si chiama Martina. Ah, sì, e com’è,
chiese Carla continuando a ballare e a sorridere. Oh, io l’ho vista solo una
volta, disse lo zio, a me par carina, ma ha un naso che fa spavento. Capito
Francesco? Fece la nonna. Tu trovatene una più bella.