lunedì 4 febbraio 2013

Il signor Domenica V


La mattina dopo si svegliò molto tardi. Rimase sotto il letto a pensare a quello che gli era successo. Si alzò pigramente che erano le dieci passate. La Domenica era più leggera, dopo un Sabato sera passato ad ascoltare il Signor Domenica. E poi c'era lei, che pareva quasi un angelo, eterea, materia di studio per filosofi e sognatori. Dopo una veloce colazione Berto sentì la solita, irrefrenabile, voglia di uscire. Gli sembrava tutto molto strano. Il jazz doveva essere la musica della disperazione ,invece da quando aveva ascoltato quel vecchio trombettista i suoi sogni si erano popolati di presenze gioiose. Scese lentamente le scale , vide un'ombra muoversi fuori dal portone, si rinnovò in lui l'inquitudine della settimana precedente. Aveva paura di incontrare il vecchio di nuovo, ma non fu così. Scandendo piano i passi nello scendere, si accorse che fuori dal palazzo stava una donna, alta, snella, dallo sguardo perso nel vuoto. Si chiamava Luna, ed era lei. Era figlia del maledetto trombettista, era anche lei parte del puzzle surreale in cui la vita di Berto si stava spezzettando. Come le fosse venuta voglia di presentarsi da lui, nessuno avrebbe potuto mai saperlo. Berto si fermò un attimo, si sentì tremare da capo, si chiese per l'ennesima in che tunnel si stesse cacciando innamorandosi di quella sconosciuta ed andando dietro a suo padre. Alla fine ogni congettura e questione irrisolta cedette il passo al fascino di una ragazza in fiore, del suo sorriso semplice ed eterno, fuori da ogni tempo. Berto aprì il portone, sorrise a Luna, lei ricambiò, <<Ciao>> disse semplicemente e lui rimase muto. Dopo qualche secondo di silenzio lei scoppiò a ridere, <<Che c'è? Ti sei imbambolato?>> domandò, Berto si ridestò, si vergognò pazzamente del suo strano comportamento, si scusò costernato, <<Mi dispiace, ma non mi aspettavo di trovarti qui. Cosa fai?>>, <<Ero passata a trovarti>>, <<Perchè?>>, <<Non lo so. Così. A volte mi sembra che noi due ci siamo conosciuti>>, Berto trasse un sospiro <<Sai che a volte capita anche a me. Mi sembra di averti già vista>>. <<Capita>> esclamò lei sorridendo ancora, ma questa volta i suoi occhi tradivano un velo di paura, che Berto notò e cercò subito di eliminare, mettendo la sua mano sul fianco della ragazza, sul suo solito vestito a fiori rossi e neri. <<Vuoi un caffè?>> chiese poi, lei parve sorpresa, ma annuì. Disse di non avere ancora fatto colazione. Iniziarono insieme a camminare, ognuno guardando per terra. Nessuno dei due sapeva bene cosa stesse succedendo. Berto si sentiva davvero male. Non poteva sopportare che quella ragazza fosse piombata nella sua vita senza perchè, senza nemmeno dargli il tempo di confidarsi con lei, di rivelarle i suoi sentimenti. Gli piaceva, questo era fuori di dubbio, ma lo strano ricordo di lei, sepolto nella sua mente, lo inquietava non poco. Era un curioso deja-vu, che doveva al più presto essere spiegato razionalmente. Ma sembrava impossibile farlo. La mattina era fresca, il cielo terso a parte qualche nuvola isolata bianca come un fiocco di neve. Berto e Luna si sedettero al tavolino di un bar di una via di periferia, poco affollata. Ordinarono tutti e due un caffè. Non parlavano. Si osservavano, ognuno attendendo la mossa dell'altro. Ad un tratto Luna fece una smorfia col viso, Berto non capì se fosse per una sorta di felice vergogna oppure semplicemente per noia. Le tese la mano, lei la prese senza battere ciglio Diedero entrambi un sorso al loro caffè. <<Dove sei nata, Luna?>> chiese d'un tratto Berto, perdendosi nei grandi occhi neri della ragazza. <<Sono nata qui>>, <<In Italia?>>, Luna annuì, <<Perchè ti hanno voluto far nascere qui?>>, <<Mio padre mi ha sempre detto che la mia terra è e sarà sempre questa>>, <<Sono belle parole>>, <<Lo so>>. Berto iniziò ad avere caldo, si sbottonò il primo bottone della camicia, mostrando una parte del petto. <<Vivi qui da molto? E' possibile che noi due ci siamo incontrati da bambini?>>, Luna si prese un po' di tempo per rispondere, <<Non so. Io mi ricordo di te ,di qualcosa che è successo tanto tempo fa, eppure non ti ricordo come un bambino>>, <<Come mi ricordo?>> chiese Berto, <<Proprio così come sei adesso. E' strano, no?>>, <<Già>> disse sorridendo Berto, strinse ancora più forte la mano di Luna. Dopo aver finito il caffè si alzarono. Iniziò a piovere lentamente, come se l'acqua volesse cullare dolcemente la loro passeggiata. Non si preoccuparono delle gocce che cadevano, continuarono ad andare tranquilli. Berto portò Luna nei luoghi della sua infanzia, cercando di smuovere in lei qualche ricordo. Tornò alla sua vecchia scuola, ormai abbandonata e preda degli sterpi. Indicò a Luna le grandi finestre rotonde sulla parete frontale, po si spinsero fin sotto i cancelli dipinti di verde e ormai divorati dalla ruggine. Lì Berto si divertiva a giocare e suo padre lo veniva a prendere ,qualche volta, in divisa da militare. Ci teneva tantissimo. Dopo la scuola Berto portò Luna in tutti i posti che avevano segnato la sua vita in città: bar, locali, strade, parchi. Lei però non ricordava niente, se non quella faccia che la metteva in soggezione, la riempiva di affetto e le incuteva paura. Parlarono a lungo e parlarono a voce bassa. Si sussurravano l'uno all'altra le parole. Ad ogni passo i loro sguardi si incrociavano miracolosamente e, nella mente di Berto, riprese a suonare la musica, quella del Signor Domenica. Alla fine, poco prima del tramonto, le parole furono così sussurrate e così flebili che le loro bocche, per ascoltarsi a vicenda, dovettero toccarsi. Davanti al palazzo di Berto si baciarono e si baciarono a lungo, quasi volessero aspettare la notte per smettere. Alla fine, lungo quella strada deserta di periferia, la Domenica sera, Luna decise che era il momento di andar via e si congedò da Berto con un abbraccio, prima però lo invitò ad un evento a cui non si poteva mancare. <<Sabato prossimo suona mio padre. Ha detto di invitarti. Ti deve dire alcune cose importanti. Ci sarai?>>, <<Certo>> fece Berto <<Ma dove?>>, <<Mio padre dice che già lo sai. Ciao, ci sentiamo domani, d'accordo?>>. Berto annuì ,poi guardò sul suo cellulare il nuovo contatto della rubrica: il numero di Luna. Il giorno dopo si sarebbero rivisti e si sarebbero baciati di nuovo e magari avrebbero fatto l'amore. Per quel che riguardava il vecchio, Berto aveva capito subito le sibilline parole di Luna. Sabato sarebbe dovuto andare a La Paz, o meglio, in qualche posto denominato La Paz, probabilmente un altro locale. Per togliersi quel fastidioso scrupolo salì velocemente in casa, controllò di corsa l'elenco del telefono alla voce locali notturni. Trovò quel che cercava. Il La Paz era un buco seminterrato in una delle vie centrali della città. Era un posto alternativo, uno di quelli dove Berto non era mai andato volentieri e dove, pensava, non sarebbe andato più. Quella volta lo faceva per Mister Sunday, lo faceva solo per lui, perchè se lo meritava, perchè aveva una figlia meravigliosa e perchè era un musicista fantastico. Poi Berto aveva ancora molte cose da sapere sul conto di quel misterioso individuo. Decise che al La Paz ci sarebbe andato senza Stanley. Col Signor Domenica voleva parlare da solo.

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