martedì 1 maggio 2012

Du gamla, du fria

Du gamla ,du fria


La prima domanda(seria) che ci si pone arrivando in Svezia è: ma qui la civiltà è arrivata per davvero? In effetti, potrebbe sembrare strano, ma l'unica forma che rassomiglia vagamente alla vita nei dintorni dell'aeroporto di Skavsta, ove sono atterrato cinque giorni or sono, sono  i profili delle conifere. Per il resto la pista di atterraggio è asfaltata solo per questione estetica. Se anche il pilota stesse facendo il cruciverba invece di atterrare avrebbe avanti a sé una distesa infinita di erba giallognola che permetterebbe anche all'Apollo 11 di adagiarsi tranquillamente a terra. Quando poi si entra in città ci si accorge che si è stati vittima solo di un dubbio arcano. La civiltà c'è in Svezia e penetra anche nei posti più impensabili. Ad esempio l'ostello dove ho avuto il piacere di alloggiare(soprannominato anche la Dachau dei Noantri), a dispetto delle camere da un metro quadro e di una finestra chiusa che però lascia misteriosamente passare un fastidioso spiffero per tutta la notte, ha delle docce da cui esce acqua invece che gas e, soprattutto, delle regole più severe che quelle della Casa della Vergine, fra le quali si ricordano: non fumare, non introdurre bevande con un tasso alcolico superiore allo 0,1%, non fare rumore, non sporcare per terra, non portare sacchi a pelo o altri ammenicoli, non dire falsa testimonianza, non desiderare le camere degli altri, non desiderarne le occupanti e sacrificare un alce illibato al Dio Odino ogni mattina alle cinque. 
La seconda domanda che ci si pone in Svezia, ma solo per chi non è abituato alla vita trentina è: ma che diavolo  di orari hanno questi? Difatti ci si trova nella situazione di doversi svegliare alle prime luci dell'alba per andare a visitar musei e palazzi e attrazioni varie, dal momento che l'orario di chiusura arriva appena a lambire le cinque del pomeriggio e, in casi disperati, le tre. Ne vale la pena? Certo, ma alle cinque e dieci poi che cazzo fai?
La terza domanda che ci si pone in Svezia è: perché ci sono andato insieme ad un ingegnere? Alcune sue idee sono ottime(come fare il giro dell'arcipelago di Stoccolma in barca), altre sono carine(andare ad un museo di fotografia), altre sono sinceramente sconcertanti(percorrere cinque chilometri a piedi in mezzo alla tundra per andare a visitare un palazzo chiuso, e lui lo sapeva prima che era chiuso). Ma questo non è un problema particolare: si è in viaggio e si deve viaggiare. Il problema è far fronte a certe affermazioni di principio relative alla vita quotidiana e ad un certo modo di pensare, del tipo "io non metto il burrocacao perché è una cosa da borghesi"(per poi presentarsi con labbra solcate da un aratro), oppure "Io sfotto la gente perchè la gente si prende sul serio"(forse è difficile prendersi sul serio facendo ingegneria, e questa frase piacerà a Biagio). Non che io abbia avuto pensieri migliori, ma quando mi sono venuti in mente ho evitato di dirli(a parte un vaffanculo di cui chiedo scusa sinceramente).
Sono stati dei bei giorni, delle belle sere, a parte una trascorsa tra luci stroboscopiche ,remix improbabili di canzoni famose e un tipo che beveva cocktail e giocava a Black Jack vicino a dove ero seduto io. Il fato però mi ha ripagato: quando ci saremmo dovuti tornare il locale era chiuso(la mattina dopo ho sacrificato ben due alci al Dio Odino).
Cosa rimane della Svezia ora, a parte dei dolci al 90% di burro sullo stomaco? Grandi scorci, ricordi interessanti, piaceri estetici configuratisi in giovani fanciulle, ma soprattutto una quarta ,e ultima domanda: questi chiudono i negozi alle tre del pomeriggio, usano un'intera isola per farci un parco-museo a cielo aperto, dipingono le pareti della metropolitana, hanno ostelli da due soldi dove ti puliscono il bagno e ti chiedono di tenerlo pulito, sanno vivere bevendo un orrendo caffè americano ogni mattina, hanno un re che gira in bicicletta e la domenica sera stanno a casa perché non vogliono far casino. 
Forse che noi greco-romani abbiamo sbagliato in qualcosa? 

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