Decimo
scrutinio:
22 Aprile
Mi chiedo
dove sei, Jessica. Stamattina hai mosso le tue mani verso di me, mi hai fatto
un cenno che sembrava dire qualcosa. Ma non l’ho colto. E’ la seconda votazione
che sta finendo. Alla prima Cilemi è andato bene, 356 voti. Ha superato le
aspettative per essere già cotto. A questa botta al massimo arriverà a 200.
Molti sono assenti in aula, soprattutto fra i pezzi grossi, da una parte e
dall’altra. Ci sono delle cose che non capisco: come un uomo che non la pensa
come me la pensi. E’ un mistero che fino ad ora non avevo mai voluto
considerare, e adesso che mi sono risvegliato dal torpore di una speranza
infinita cerco di anestetizzare l’incertezza rubando al mio vicino gli attimi
del suo solitario sul tablet. La confusione va scemando, è tardi e lo scrutinio
va per le lunghe. Molti onorevoli o senatori fanno programmi: credo che alla
fine molti di quelli che non abitano a Roma passeranno la serata da soli in
albergo. Qualcuno farà sesso con una donna, e sarà solo per piacere. A volte
capita anche di dover fare sesso per necessità, ma mi riesce difficile di
immaginare si possa fare l’amore per dovere. Eppure capita ancora, e non solo
in qualche sperduto villaggio lontano dalla civiltà. Capita anche in questa
aula: certe posizioni implicano certe prestazioni. Lo scopo è una vita in
carriera. Alla fine, penso, si riduce tutto ad una scelta. La stessa che dovrei
fare io: accodarmi a Bucci o restare fedeli alla vecchia guardia? L’unico
vantaggio della mia scelta è che non prevede lo sfoggio della mia virilità. Il
pensare che altri tipi di accordi includano quella clausola in più mi fa sentire
a disagio al punto che scendo a toccarmi fra le gambe, quasi per rassicurarmi
che tutto vada bene, e che quello che ha fatto Margiotta io non dovrò farlo
mai. Fin troppo ovvio: lei è un capolavoro ed io sono un povero cristo. Da lei
si pretende di più. Scuoto la testa perché mi viene da piangere solo adesso.
Stamattina tutto andava bene, finché c’era lei, ma adesso che manca ho paura
che sia andata a fare il suo dovere. Perché non basta farlo una sola volta,
bisogna continuare. Non posso che domandarmi cosa provi una donna al riguardo
ben sapendo che non troverò mai risposta. La politica è anche sesso, è anche
amore. Alla fine una donna disposta a vendersi per un posto in parlamento
mostra di avere molta più tempra e determinazione di quanta io non ne abbia mai
mostrata in tutta la mia vita. Forse Margiotta merita di essere qui più di me.
Perché lei aveva un’alternativa e ha voluto credere in questo scranno di panno
rosso che ci coccola le schiene mentre osserviamo la lugubre sfilata di gente
che se ne va troppo stanca per badare ancora all’elezione della più alta carica
dello stato che va in malora. La vita va avanti fuori di qui e noi non siamo
eroi. La normalità è il massimo che si può pretendere da noi. Mi alzo anche io
e quasi corro verso l’uscita. Sono le sei e mezza. E il mondo sembra così
grande fuori da questo posto. Non vedo l’ora di tornare a vivere. Che vada al
diavolo la gente e tutto quello che la gente vuole da noi. Che vadano al
diavolo i giornalisti e i disoccupati e i precari e i ricercatori sottopagati.
Ci pensino loro a fare la rivoluzione e non vengano più a protestare da noi,
che siamo solo impiegati da undicimila euro al mese. Nelle facce che incontro,
tutte ignare di me, immagino vi siano tanti di quei disoccupati che ho da poco mandato a fanculo. La storia
di ognuno non mi compete, eppure dovrebbe. Le cose funzionano al contrario in
politica. E’ un mondo dove i timidi leccaculo come me possono diventare
onorevoli senza aver mai fatto un cazzo. E’ un mondo dove le troie possono
dominare il mondo e cambiare la costituzione. Siamo una grande massa di idioti.
Ma ancora più idiota è chi ci ha messo lì. Riesco ad addormentare i sensi di
colpa solo perché la strada è diventata improvvisamente più spoglia. Le persone
paiono essersi volatilizzate. Camminando da solo posso sentire i miei passi sui
sanpietrini, ed ogni piccolo rumore cattura la mia attenzione e mi fa pensare a
tante storie: un gatto nero che scappa, un vagabondo, una coppia di fidanzati
nascosti. Mi ricordo della prima volta che sono venuto a Roma e ho visto il
Colosseo. E’ stato un sogno per un bambino. Il problema è che non ho mai smesso
di essere un bambino. E’ per questo che mi sono ancora concesse le favole.
“Jessica, cosa fai ancora a casa mia?”.
Le sue gambe
intrecciate ad ogni passo sono come un assolo di chitarra ,una lenta partitura
intessuta di piccoli momenti di pausa, lunghi quanto un respiro, solo per
ricordarsi che a volte vale la pena stare al mondo. Passano minuti prima che
lei sia di fronte a me,abbastanza vicina da poter sentire il suo respiro. “Entriamo
in casa” mi dice. La accontento. Ci sediamo sul divano, lei accavalla le gambe,
io mi sporgo in avanti quasi per guardare meglio la televisione che è spenta.
“Ieri sera ti avrei voluto con me” mi fa lei. “Non era il momento”, “Allora non
lo sarà mai. Perché ce l’hai con me?”. E’ la prima volta nella mia vita che una
donna viene dietro a me. Di solito sono io che provo a cercarle. E questa donna
non pretende nulla, mi ronza attorno come una mosca e cerca qualcosa che non
so. Sono sull’orlo di rifiutarla e sprecare la più grande occasione della mia
vita. “Sei tutto quello che più disprezzo, Jessica”. Le viene da ridere, si
alza e va a frugare nella borsa per tirare fuori le sigarette. Se ne accende
una e inala velocemente. “Come può per te questo essere così importante?” mi
domanda e i suoi occhi non credono a quello che io dico. “E’ solo per una
questione politica?” continua. Scuoto la testa. Non si tratta di questo, non si
è mai trattato di questo. E’ una cosa diversa, è una questione di vita. Lo
posso vedere in ogni secondo in cui io penso qualcosa e lei no. Lei rimarrà
sempre la ragazza che mi rifiutò al liceo, quella che mi rese ridicolo di
fronte alla classe, quella che era troppo bella e troppo facile per me, quella
che non pensa a niente se non a se stessa, prigioniera del suo mascara e dei
suoi tacchi venti. “Hai fatto sesso col capo per essere eletta?”. “Te l’ho già
detto, sì”, “Che cosa pensi di questo?”, “E’ una cosa che ho fatto, e mi sono
sentita tanto colpevole, ma non sono pentita”. Inala ancora, questa volta più
lentamente, è appoggiata al tavolo del salotto e i suoi occhi sono rossi per il
fumo, o perché sta piangendo e io non me ne accorgo. “Dovresti pagare per
quello che hai fatto, è sbagliato” le dico e mi alzo anche io. Vado ad aprire
la finestra: c’è troppa puzza di fumo. “Sentirsi colpevole è una pena già
sufficiente” risponde lei e tossisce. Sembra una ragazza alle prese con la
prima sigaretta. Mi avvicino istintivamente a lei, poi mi blocco e vado in
cucina. Torno con un bicchiere d’acqua e glielo poggio accanto. Lei lo prende e
lo vuota tutto d’un fiato. Il suo respiro dopo aver bevuto è più libero.
Mormora un grazie e tiene il bicchiere stretto in mano. “Perché ti sei buttata
addosso a me, Jessica?” le domando, perché sinceramente il pensiero mi inquieta
e spesso non riesco a prenderlo sul serio. Credo che tutta questa storia sia un
immensa barzelletta. Ci sono decine di altri deputati che non si farebbero
problemi ad accettare un capolavoro come lei. Ne ha colpiti tanti, credo.
Quanti onorevoli sguardi si sono posati su di lei in ogni minuto in quell’aula.
Ma lei esita a rispondere e immagino che forse non riesca a trovare le parole,
o non sappia proprio la risposta. Mi porge il bicchiere, vado a riempirglielo
di nuovo. Lo scorrere dell’acqua del rubinetto è condito da un qualcosa di
fastidiosamente acido. Bevo un sorso d’acqua per sacrificarmi ma non trovo
nulla di strano. Forse è il mio stomaco che sa di limone andato a male. “Sai
con quante persone sono andata a letto nella mia vita?” dice dall’altra stanza
Jessica. Prendo il bicchiere e glielo metto,come prima, accanto a lei. Torno
alla finestra. Lei si accende un’altra sigaretta. “Tre in tutto” risponde alla
sua stessa domanda, “E con due è stato per motivi di lavoro”. Una coppia sta
passando sulla strada sotto casa. Sembra stiano litigando mentre girano
abbracciati. “E con il terzo?” chiedo io, “Avevo sedici anni” risponde. Non è
una risposta seria: anche a sedici anni si può far sesso per motivi di lavoro. “Sai
che quello che pensi mi fa schifo?” chiedo e lei risponde di sì. E annuisce
quando le racconto di come da piccolo speravo in una vita migliore per quanto
fossi stato adulto, e speravo di potermi dar da fare. Non le racconto di quanto
sono stato preso a parolacce da un
gruppo di studenti delle medie mentre facevo volantinaggio per il
partito. Avevo diciannove anni, ma è un particolare episodio che non faccio
entrare nella top ten dei miei successi. Trovo ironico me stesso ed esplodo in una
risata proprio di fronte a lei. Che sorride, e inala ancora, poi schiaccia la
sigaretta nel posacenere e beve il suo bicchiere d’acqua. C’è qualcosa di
spaventoso in questa donna: era la reginetta della scuola e secondo me voleva
diventare una soubrette. Qualcuno poi l’ha costretta a studiare e si è fatta
quella sua bella parlata che mi sta conquistando in questi tempi. Deve aver
capito prima di me come funziona la vita. Magari ha voluto tanto questo lavoro
per poter vivere una vecchiaia serena e felice con l’amore della sua vita e
cinque bambini un giorno. Magari l’ha fatto perché ha sete di potere. “Sei mai
stata rifiutata da un ragazzo?” domando e questa volta tocca a lei ridere. Si
volta un attimo e mi da le spalle. Tiene le braccia conserte mentre dondola una
gamba in avanti. “Sì, una volta…era uno sfigato comunista, un po’ come te”. “I
comunisti non sono sfigati con le donne…sono alternativi” le rispondo a tono e
lei è costretta a girarsi per vedere la mia faccia decisa. “Tu non sei il loro
tipo, troppo sbarluccicante concentrato di bellezza da televisione commerciale
per piacere a loro…ma, fidati, loro le trovano le donne, loro piacciono e sono
apprezzati”. Jessica fa una smorfia divertita, “Quindi tu non sei un
comunista?”, “Se sono un comunista io allora la sinistra è messa proprio male”
scherzo, “E’ quello che ho sempre pensato anche io” mi dice lei “E per questo
ho scelto una strada diversa”. Forse hai fatto bene, penso tra me e me. Io sono
sempre stato troppo serio per scegliere quella strada, o la strada della
rivoluzione. Ho scelto una via di mezzo e ci ho creduto con tutta l’anima.
Perché sono quello del mai-una-parola-di-troppo, di quel
però-è-una-brava-persona che piace tanto agli elettori di mezza età del mio
paese. Ma che a Margiotta non piace. Eppure mi sta addosso e mi ha detto che
vorrebbe far sesso con me. Non posso concederglielo. Non adesso. “C’è qualche
speranza che tu un giorno possa pensarla come me?” domando e lei tira fuori
un’altra sigaretta dal pacchetto. Le prendo la mano per bloccarla. Non si
sorprende del mio gesto, io invece sì. “Direi di si, ma devi impegnarti a
convincermi, perché finora quello che penso mi ha sempre dato grandi
soddisfazioni”. “E cosa pensi?” chiedo ancora con curiosità. Sto fremendo dalla
voglia di sapere. Mi sento nel mezzo di un grande esperimento ed è una delle
poche volte che la mia testa è davvero pronta ad accettare tutto, purché sia
ben motivato. Jessica non mi risponde. Mi allontano da lei e prendo le chiavi
della sua macchina in bella vista sul tavolo. Mi lancia uno sguardo
interrogativo. Le faccio cenno di seguirmi. Rischierò di romperle l’osso del
collo guidando io, ma male che vada ucciderò una mia avversaria. Se morirò
anche io saremo pari. Lei annuisce e viene verso di me. Ho proprio voglia di
fare un giro in macchina per Roma. “Però la musica la scelgo io” mi dice lei.
Nessun commento:
Posta un commento