lunedì 21 ottobre 2013

Decimo scrutinio



Decimo scrutinio:
22 Aprile
Mi chiedo dove sei, Jessica. Stamattina hai mosso le tue mani verso di me, mi hai fatto un cenno che sembrava dire qualcosa. Ma non l’ho colto. E’ la seconda votazione che sta finendo. Alla prima Cilemi è andato bene, 356 voti. Ha superato le aspettative per essere già cotto. A questa botta al massimo arriverà a 200. Molti sono assenti in aula, soprattutto fra i pezzi grossi, da una parte e dall’altra. Ci sono delle cose che non capisco: come un uomo che non la pensa come me la pensi. E’ un mistero che fino ad ora non avevo mai voluto considerare, e adesso che mi sono risvegliato dal torpore di una speranza infinita cerco di anestetizzare l’incertezza rubando al mio vicino gli attimi del suo solitario sul tablet. La confusione va scemando, è tardi e lo scrutinio va per le lunghe. Molti onorevoli o senatori fanno programmi: credo che alla fine molti di quelli che non abitano a Roma passeranno la serata da soli in albergo. Qualcuno farà sesso con una donna, e sarà solo per piacere. A volte capita anche di dover fare sesso per necessità, ma mi riesce difficile di immaginare si possa fare l’amore per dovere. Eppure capita ancora, e non solo in qualche sperduto villaggio lontano dalla civiltà. Capita anche in questa aula: certe posizioni implicano certe prestazioni. Lo scopo è una vita in carriera. Alla fine, penso, si riduce tutto ad una scelta. La stessa che dovrei fare io: accodarmi a Bucci o restare fedeli alla vecchia guardia? L’unico vantaggio della mia scelta è che non prevede lo sfoggio della mia virilità. Il pensare che altri tipi di accordi includano quella clausola in più mi fa sentire a disagio al punto che scendo a toccarmi fra le gambe, quasi per rassicurarmi che tutto vada bene, e che quello che ha fatto Margiotta io non dovrò farlo mai. Fin troppo ovvio: lei è un capolavoro ed io sono un povero cristo. Da lei si pretende di più. Scuoto la testa perché mi viene da piangere solo adesso. Stamattina tutto andava bene, finché c’era lei, ma adesso che manca ho paura che sia andata a fare il suo dovere. Perché non basta farlo una sola volta, bisogna continuare. Non posso che domandarmi cosa provi una donna al riguardo ben sapendo che non troverò mai risposta. La politica è anche sesso, è anche amore. Alla fine una donna disposta a vendersi per un posto in parlamento mostra di avere molta più tempra e determinazione di quanta io non ne abbia mai mostrata in tutta la mia vita. Forse Margiotta merita di essere qui più di me. Perché lei aveva un’alternativa e ha voluto credere in questo scranno di panno rosso che ci coccola le schiene mentre osserviamo la lugubre sfilata di gente che se ne va troppo stanca per badare ancora all’elezione della più alta carica dello stato che va in malora. La vita va avanti fuori di qui e noi non siamo eroi. La normalità è il massimo che si può pretendere da noi. Mi alzo anche io e quasi corro verso l’uscita. Sono le sei e mezza. E il mondo sembra così grande fuori da questo posto. Non vedo l’ora di tornare a vivere. Che vada al diavolo la gente e tutto quello che la gente vuole da noi. Che vadano al diavolo i giornalisti e i disoccupati e i precari e i ricercatori sottopagati. Ci pensino loro a fare la rivoluzione e non vengano più a protestare da noi, che siamo solo impiegati da undicimila euro al mese. Nelle facce che incontro, tutte ignare di me, immagino vi siano tanti di quei disoccupati  che ho da poco mandato a fanculo. La storia di ognuno non mi compete, eppure dovrebbe. Le cose funzionano al contrario in politica. E’ un mondo dove i timidi leccaculo come me possono diventare onorevoli senza aver mai fatto un cazzo. E’ un mondo dove le troie possono dominare il mondo e cambiare la costituzione. Siamo una grande massa di idioti. Ma ancora più idiota è chi ci ha messo lì. Riesco ad addormentare i sensi di colpa solo perché la strada è diventata improvvisamente più spoglia. Le persone paiono essersi volatilizzate. Camminando da solo posso sentire i miei passi sui sanpietrini, ed ogni piccolo rumore cattura la mia attenzione e mi fa pensare a tante storie: un gatto nero che scappa, un vagabondo, una coppia di fidanzati nascosti. Mi ricordo della prima volta che sono venuto a Roma e ho visto il Colosseo. E’ stato un sogno per un bambino. Il problema è che non ho mai smesso di essere un bambino. E’ per questo che mi sono ancora concesse le favole. “Jessica, cosa fai ancora a casa mia?”.

Le sue gambe intrecciate ad ogni passo sono come un assolo di chitarra ,una lenta partitura intessuta di piccoli momenti di pausa, lunghi quanto un respiro, solo per ricordarsi che a volte vale la pena stare al mondo. Passano minuti prima che lei sia di fronte a me,abbastanza vicina da poter sentire il suo respiro. “Entriamo in casa” mi dice. La accontento. Ci sediamo sul divano, lei accavalla le gambe, io mi sporgo in avanti quasi per guardare meglio la televisione che è spenta. “Ieri sera ti avrei voluto con me” mi fa lei. “Non era il momento”, “Allora non lo sarà mai. Perché ce l’hai con me?”. E’ la prima volta nella mia vita che una donna viene dietro a me. Di solito sono io che provo a cercarle. E questa donna non pretende nulla, mi ronza attorno come una mosca e cerca qualcosa che non so. Sono sull’orlo di rifiutarla e sprecare la più grande occasione della mia vita. “Sei tutto quello che più disprezzo, Jessica”. Le viene da ridere, si alza e va a frugare nella borsa per tirare fuori le sigarette. Se ne accende una e inala velocemente. “Come può per te questo essere così importante?” mi domanda e i suoi occhi non credono a quello che io dico. “E’ solo per una questione politica?” continua. Scuoto la testa. Non si tratta di questo, non si è mai trattato di questo. E’ una cosa diversa, è una questione di vita. Lo posso vedere in ogni secondo in cui io penso qualcosa e lei no. Lei rimarrà sempre la ragazza che mi rifiutò al liceo, quella che mi rese ridicolo di fronte alla classe, quella che era troppo bella e troppo facile per me, quella che non pensa a niente se non a se stessa, prigioniera del suo mascara e dei suoi tacchi venti. “Hai fatto sesso col capo per essere eletta?”. “Te l’ho già detto, sì”, “Che cosa pensi di questo?”, “E’ una cosa che ho fatto, e mi sono sentita tanto colpevole, ma non sono pentita”. Inala ancora, questa volta più lentamente, è appoggiata al tavolo del salotto e i suoi occhi sono rossi per il fumo, o perché sta piangendo e io non me ne accorgo. “Dovresti pagare per quello che hai fatto, è sbagliato” le dico e mi alzo anche io. Vado ad aprire la finestra: c’è troppa puzza di fumo. “Sentirsi colpevole è una pena già sufficiente” risponde lei e tossisce. Sembra una ragazza alle prese con la prima sigaretta. Mi avvicino istintivamente a lei, poi mi blocco e vado in cucina. Torno con un bicchiere d’acqua e glielo poggio accanto. Lei lo prende e lo vuota tutto d’un fiato. Il suo respiro dopo aver bevuto è più libero. Mormora un grazie e tiene il bicchiere stretto in mano. “Perché ti sei buttata addosso a me, Jessica?” le domando, perché sinceramente il pensiero mi inquieta e spesso non riesco a prenderlo sul serio. Credo che tutta questa storia sia un immensa barzelletta. Ci sono decine di altri deputati che non si farebbero problemi ad accettare un capolavoro come lei. Ne ha colpiti tanti, credo. Quanti onorevoli sguardi si sono posati su di lei in ogni minuto in quell’aula. Ma lei esita a rispondere e immagino che forse non riesca a trovare le parole, o non sappia proprio la risposta. Mi porge il bicchiere, vado a riempirglielo di nuovo. Lo scorrere dell’acqua del rubinetto è condito da un qualcosa di fastidiosamente acido. Bevo un sorso d’acqua per sacrificarmi ma non trovo nulla di strano. Forse è il mio stomaco che sa di limone andato a male. “Sai con quante persone sono andata a letto nella mia vita?” dice dall’altra stanza Jessica. Prendo il bicchiere e glielo metto,come prima, accanto a lei. Torno alla finestra. Lei si accende un’altra sigaretta. “Tre in tutto” risponde alla sua stessa domanda, “E con due è stato per motivi di lavoro”. Una coppia sta passando sulla strada sotto casa. Sembra stiano litigando mentre girano abbracciati. “E con il terzo?” chiedo io, “Avevo sedici anni” risponde. Non è una risposta seria: anche a sedici anni si può far sesso per motivi di lavoro. “Sai che quello che pensi mi fa schifo?” chiedo e lei risponde di sì. E annuisce quando le racconto di come da piccolo speravo in una vita migliore per quanto fossi stato adulto, e speravo di potermi dar da fare. Non le racconto di quanto sono stato preso a parolacce da un  gruppo di studenti delle medie mentre facevo volantinaggio per il partito. Avevo diciannove anni, ma è un particolare episodio che non faccio entrare nella top ten dei miei successi. Trovo ironico me stesso ed esplodo in una risata proprio di fronte a lei. Che sorride, e inala ancora, poi schiaccia la sigaretta nel posacenere e beve il suo bicchiere d’acqua. C’è qualcosa di spaventoso in questa donna: era la reginetta della scuola e secondo me voleva diventare una soubrette. Qualcuno poi l’ha costretta a studiare e si è fatta quella sua bella parlata che mi sta conquistando in questi tempi. Deve aver capito prima di me come funziona la vita. Magari ha voluto tanto questo lavoro per poter vivere una vecchiaia serena e felice con l’amore della sua vita e cinque bambini un giorno. Magari l’ha fatto perché ha sete di potere. “Sei mai stata rifiutata da un ragazzo?” domando e questa volta tocca a lei ridere. Si volta un attimo e mi da le spalle. Tiene le braccia conserte mentre dondola una gamba in avanti. “Sì, una volta…era uno sfigato comunista, un po’ come te”. “I comunisti non sono sfigati con le donne…sono alternativi” le rispondo a tono e lei è costretta a girarsi per vedere la mia faccia decisa. “Tu non sei il loro tipo, troppo sbarluccicante concentrato di bellezza da televisione commerciale per piacere a loro…ma, fidati, loro le trovano le donne, loro piacciono e sono apprezzati”. Jessica fa una smorfia divertita, “Quindi tu non sei un comunista?”, “Se sono un comunista io allora la sinistra è messa proprio male” scherzo, “E’ quello che ho sempre pensato anche io” mi dice lei “E per questo ho scelto una strada diversa”. Forse hai fatto bene, penso tra me e me. Io sono sempre stato troppo serio per scegliere quella strada, o la strada della rivoluzione. Ho scelto una via di mezzo e ci ho creduto con tutta l’anima. Perché sono quello del mai-una-parola-di-troppo, di quel però-è-una-brava-persona che piace tanto agli elettori di mezza età del mio paese. Ma che a Margiotta non piace. Eppure mi sta addosso e mi ha detto che vorrebbe far sesso con me. Non posso concederglielo. Non adesso. “C’è qualche speranza che tu un giorno possa pensarla come me?” domando e lei tira fuori un’altra sigaretta dal pacchetto. Le prendo la mano per bloccarla. Non si sorprende del mio gesto, io invece sì. “Direi di si, ma devi impegnarti a convincermi, perché finora quello che penso mi ha sempre dato grandi soddisfazioni”. “E cosa pensi?” chiedo ancora con curiosità. Sto fremendo dalla voglia di sapere. Mi sento nel mezzo di un grande esperimento ed è una delle poche volte che la mia testa è davvero pronta ad accettare tutto, purché sia ben motivato. Jessica non mi risponde. Mi allontano da lei e prendo le chiavi della sua macchina in bella vista sul tavolo. Mi lancia uno sguardo interrogativo. Le faccio cenno di seguirmi. Rischierò di romperle l’osso del collo guidando io, ma male che vada ucciderò una mia avversaria. Se morirò anche io saremo pari. Lei annuisce e viene verso di me. Ho proprio voglia di fare un giro in macchina per Roma. “Però la musica la scelgo io” mi dice lei.

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