20 Aprile
Pareva
dovesse finire il mondo. Invece siamo ancora tutti qui. Qualcuno di noi ha
avuto una brutta notte, agitata, ma sono solo gli effetti collaterali di un
mestiere che è il più bello del mondo. Dopo il fallimento di ieri si sono
dimessi tutti: segretario e segreteria al completo. Chi comanda ora? Nessuno,
ma questo succedeva già da un po’. Si torna punto a capo. Hanno parlato in
tanti, ieri, alla televisione che ho visto a casa mia seduto al tavolo mentre
cenavo da solo. Avrei voluto uscire, ma mi sembrava brutto. Ero solo. L’unico
che non ha parlato è stato Munari. Probabilmente si starà ancora chiedendo come
cazzo lo hanno messo dentro questa storia. Io sono sollevato. Stamattina ho
persino sorriso allo specchio. Se ieri mi sentivo caricato di un fastidioso e
insistente senso di responsabilità, oggi sono libero. Ieri sera mi sono
addormentato a cuor leggero: almeno per un po’ spariranno gli ordini di
scuderia, i nomi da mandare giù a forza, gli intrighi. Adesso a regnare è il
caos, e non sono certo io a dover risolvere il tutto. Ci penseranno quelli che
contano, a incontrarsi in segreto e a inventarsi una via d’uscita. Io sono uno
dei tanti. Steso sul letto,a mezzanotte passata, ieri ho avuto uno strano sogno
ad occhi aperti: ho visto Margiotta accanto a me, sotto le mie coperte.
Dormiva. Potevo vederle solo i capelli davanti alla faccia,ma era sicuramente
lei. Ho preso sonno sognando Margiotta ed ero talmente stanco che non me ne
sono nemmeno vergognato. Ieri si è arrabbiata: ne sono quasi sicuro. Quella sua
ultima battuta era solo sarcasmo. Ma, nonostante questo, mi compiaccio del mio
piccolo miracolo. Sono riuscito a far incrociare le nostre strade. Ci sono
riuscito facendo il cretino, fissandola senza un motivo, seguendola fuori
dall’aula, rubandole quei piccoli momenti di attenzione che lei avrebbe potuto
facilmente dedicare a face book o a twitter. Sono sicuro che abbia twitter. Va
tanto di moda. E Margiotta non manca mai alla moda. Devo stare attento, mi
ripeto mentre finisco la colazione, lei mi sa leggere. Ha colto la mia
sfiducia, la mia rassegnazione, il mio cinismo. E tutto questo lo ha colto nel
mio silenzio. Stanotte ho riflettuto ed ora sono sicuro che non sia stata
mandata da me da qualcuno con un proposito malizioso. E’ venuta da me
spontaneamente. Mi rimane da capire il perché, se me ne darà l’opportunità.
Mentre mi vesto quasi posso vederla dietro allo specchio dell’armadio: indossa
una camicia azzurra. E’senza pantaloni ma ha già infilato i collant. Ha
talmente tanti capelli che quando si muove posso solo intuire la presenza del
suo volto. Quando mi allontano dallo specchio e mi volto, lei non c’è più. Al
suo posto ci sono i miei pantaloni e la mia cravatta. Sono sempre stato molto
bravo a sognare le ragazze. Non posso dire che dispiacessi alle ragazze. Non
davo fastidio, e questo lo apprezzavano. Solo non gradivano i miei sorrisi.
Hanno sempre spaventato tutti i miei sorrisi. Non amo sorridere, e quando lo faccio
sinceramente è sempre un qualcosa di appena abbozzato, che potrebbe essere
anche un sorriso di malinconia.
Mentre mi
lavo i denti mi trovo a guardare il televideo. Mi aggiorno solo sulla
classifica di Serie A, il resto lo lascio perdere. Ho la ferma convinzione che
chi faccia politica non ami parlare di politica. O perché non ne capisce nulla,
o perché ,se è a cena da amici, vorrebbe parlare di vacanze, di mare, di mezze
stagioni, di calcio e di donne. Non di politica. La politica è una cosa sfuggente,
che non si lascia prendere mai, e qualche volta, come ieri sera al mio
segretario, ti prende lei da dietro e ti fa tanto, tanto male. Può regalarti
momenti di grande tristezza, può farti sentire solo con i tuoi sbagli. Devi
avere la forza di accettarli, e ripeterti che hai fatto solo il tuo lavoro, e
hai fatto il meglio che potevi, il meglio che pensavi. Il resto non conta un
cazzo. Togli la tua faccia dai microfoni e la gente si dimenticherà di te. Ma
io, tutto questo, in teoria lo devo ancora imparare. In pratica me lo disse il
caro vecchio Piccoli, che quando io ancora facevo il liceo lui già si dava da
fare con i giovani del partito ed aveva strappato un paio di contatti a due
pezzi grossi di Roma. Lui era troppo grande perché potessimo vederci con regolarità,
ma ,da buon ex vicino, ogni volta che capitava in paese faceva un salto a
trovarmi. Mia madre crede che sia stato lui a farmi venire voglia di far
politica. Quando me lo dice io non le rispondo, perché ,semplicemente, non lo
so. Ora Piccoli fa il consigliere comunale da qualche parte nel Piemonte. Si è
sposato e credo abbia già un bambino. Per un po’ ci ha provato a far carriera,
ma oramai ha gettato la spugna. Si è trovato un altro lavoro e va in comune per
hobby. Ha avuto una sola grande sfortuna:non è capitato al momento giusto.
Quando voleva far politica lui il partito era in una situazione disastrosa in
regione, e gli effetti si sentivano anche nei piccoli centri. Eravamo sempre
all’opposizione. Io ho avuto culo: mi sono infilato dentro quando la ruota
cominciava a girare dalla parte giusta. Spesso ,devo dire, mi è andata bene:
successe quella volta che il rappresentante d’istituto si trasferì e dovette
lasciare il suo posto a me; successe quando Magnani divenne consigliere
regionale e se ne andò dal comune e io, primo dei non eletti, entrai al suo
posto, da vincente. E’ successo anche pochi mesi fa, quando mi hanno messo in
lista per la camera. Io, nella mia vita, mi sono fatto solo un paio di anni
all’opposizione. I primi due, poi Micone fu impallinato dai suoi e facemmo un
bel ribaltone.
Ora, mentre
sono già fuori di casa e manca poco a Piazza Colonna, mi chiedo cosa sia io
adesso: non sono maggioranza, perché la maggioranza ci riesce a votarsi il suo
candidato e a farlo eleggere, e noi no. Non sono opposizione,perché noi abbiamo
più seggi degli altri, anche se, evidentemente, non abbastanza. Pare proprio
che io non sia niente. Chissà cosa ne pensa Margiotta. Lei ,adesso, proprio
adesso, mi saluta.
E’ ferma in
piazza, defilata, e parla al cellulare. Alza una mano quando mi vede. Guardava
verso di me. Io rispondo e mi chiedo cosa dovrei fare: fermarmi a parlare?
Sembrerebbe un inciucio davanti alle telecamere. Fare finta che non esista?
Sarebbe maleducato, e io non sono maleducato. Le passo vicino velocemente e le
faccio segno che parleremo dopo, quando saremo tutti e due dentro, e al sicuro.
Oggi si vota di nuovo scheda bianca: per me significa di nuovo Reglia. Sono
entrato da poco in transatlantico e Margiotta è proprio dietro di me. Non ha smesso
di parlare al telefono, ma vuole vedere dove vado. Arrivo alla buvette, ordino
un caffè e mi siedo. Lei si avvicina, spegne il telefono. Mi chiede se può
sedersi lì. Annuisco. Quando arriva il caffè glielo do. “E’ per te” dico e lei
sorride. “Come ti senti oggi?” domanda, “Come al solito, forse un po’ più
leggero”. E’ la verità. “Cosa voterai oggi?” le chiedo, e lei allarga le
braccia. “Tu cosa mi consigli?” , “Il tuo partito cosa ti consiglia?”, “Scheda
bianca”, “Allora obbedisci” replico senza nemmeno pensarci. E’ la cosa migliore
da fare. “Io obbedisco sempre” dice lei come se dovesse difendersi, e per un
attimo sembra davvero offesa. Poi decide di bere il caffè e io posso fissare le
sue labbra. Ha un rossetto rosa chiaro, lucido. Oggi ha i capelli più vaporosi.
“Vuoi parlare?” mi chiede poggiando la tazzina vuota. Scuoto la testa. Le dico
solo che non è il momento. Lei è d’accordo con me. Ha una riunione di gruppo
fra poco. Per la mia bisognerà aspettare stasera, dopo le due votazioni. “Devo
andare” dice lei alzandosi. Sorride ancora. “Ci rivedremo” sussurra e fa per
andarsene. La fermo un momento con uno “scusa”. Lei si volta. “Non mi hai mai
detto perché sei qui…perchè fai politica intendo…”. Lei ci pensa un attimo.
Forse non si aspettava questa domanda. “Perché tu me l’hai detto?” mi risponde,
poi mi manda un bacio con la mano e da allora tutto quello che posso vedere è
la sua schiena.
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