martedì 29 ottobre 2013

Diciottesimo scrutinio



Diciottesimo scrutinio:

27 Aprile

Quando la vedo mi chiedo perché non sono nato diverso: invece di stare in disparte durante la ricreazione in prima media potevo uscire in corridoio e farmi vedere. Sarebbe bastato. Sarebbe bastato anche alzarsi più spesso dal banco durante le pause. Ma era contro le regole, mi dicevano. Allora pensavo che a qualcosa potessero servire ,quelle regole. Lo penso ancora oggi, ma non ho la stessa fiducia nell’utilità dell’obbedienza. Oggi sono stato ubbidiente. Non mi sono mai alzato dal mio banco, se non al momento del voto. E sono sceso misurando ogni passo, cercando di imparare la solennità dei grandi. Ho votato secondo le regole. E dopo poche ore mi sono trovato ancora diviso dalla donna che amo, che anelo, e che mi guardava cercando di sussurrarmi che fra quei cento franchi tiratori che hanno affossato Travai c’era pure lei. Ho cercato di ignorare la pioggia per diversi minuti, ma poi mi sono ritrovato in Piazza del Popolo, sì in Piazza del Popolo, bagnato fradicio, con una donna con un ombrello rosa schocking al mio fianco, pronta ad accogliermi sotto quel suo obbrobrio. “Quanto tempo è passato?” chiedo, ma non ricevo risposta. Sono insoddisfatto. Forse dovrei consigliarle di ricorrere alla chirurgia estetica, per quella sua ruga. Un piccolo taglietto e tornerebbe la statua di sempre. Però sarebbe come perdere la verginità. Tagliarsi la faccia. “Perché hai fatto il franco oggi?” devo chiederle. Ne ho un bisogno fisico. “Per dimostrarti quello che sono” risponde, poi abbassa l’ombrello e lo chiude. Adesso staranno votando scheda bianca laggiù a Montecitorio. Niente rottura su Travai, assicurano: solo un momento di riflessione. Per far digerire meglio il nome ai vari gruppi, che forse sono stati colpiti un po’ a freddo. Cazzo, io sono stato colpito a gelido, e questa pioggia non fa che avvicinare la venuta dei miei reumatismi. Sono davvero così ipocrita da voler mettere per forza i miei ideali davanti alla mia voglia? Oppure sono troppo sincero nel voler fare la stessa cosa. Se fossimo solo noi due al mondo, Jessica, non avrei paura di baciarti. Ma c’è troppo un tutto qua fuori, e mi sento indifeso di fronte al mio destino. Quello che mi capiterà domani se dovessi tradire. “Non posso fare un inciucio con te, Jessica” le dico, qualche passante ci osserva stranito. Pensa che abbiamo voglia di prenderci un’influenza. “Non l’ho mai chiesto, dai ,ora andiamo” fa lei allungandomi la mano. Non raccolgo il suo invito, ma la seguo a poca distanza. Ho voglia di asciugarmi e se possibile rimanere chiuso nel bagno abbracciato alla stufa per il resto della giornata, fino a risvegliarmi ustionato di terzo grado al policlinico Gemelli. E con accanto Margiotta a leggermi le ultime notizie sull’attualità politica di questo paese di merda. Ai tempi di mio padre era più facile: quante coppie ci saranno state con lui comunista e lei democristiana? Anche i miei nonni magari erano così. Ma io non sono comunista. Lei invece, se necessario, potrebbe anche essere democristiana. Non penso creda in dio, ma potrebbe entrare in chiesa anche due volte a settimana, per forza maggiore. E questa sua sfacciata menzogna è la cosa più sincera che ho di lei. Non mi ha mai raccontato di essere un’idealista, non mi ha mai raccontato di credere in qualcosa. Mi asciugo i capelli col phon davanti allo specchio di casa e ripeto nella mia testa le parole del tg che annunciano l’ennesimo nulla di fatto. Mi hanno chiamato dal partito. Domani si punta di nuovo su Travai. Ho detto “ok” poi ho attaccato. Ho chiamato casa. Mia madre mi ha detto “fà la cosa giusta”. E’ bello vivere d’inciuci, perché un inciucio è sempre la cosa giusta per tutti. L’inciucio è il consiglio del prete la domenica, è il cercare la verità nel compromesso, è la prudenza contro la temerarietà, è la modestia contro la vanità, è la rinuncia che vince sulla pretesa. Forse perdono tutti, e in politica conta vincere, ma col “prima non prenderle” qualcuno ci ha vinto più di un campionato. E poi ,per gente come me, l’importante è stato più che altro partecipare. Sono sessant’anni che perdiamo: un pareggio domani è già tanto. La porta del bagno si apre. Prima di Jessica entra una fastidiosa musichetta anni ’80, di quelle con il ritornello che crea dipendenza e non si smette di canticchiarlo. “Tu non mangi niente?” mi chiede. Ha in mano un piatto con due fette di pane e prosciutto. “Adesso arrivo”. Se ne va muovendo il culo a ritmo. E’ ancora un po’ bagnata. “Domani vota Travai” le dico ,senza spegnere il phon. Spero mi senta. Lei si gira. “Perché? Non è meglio votare un candidato più serio? Quello è uno come gli altri”. Ha ragione, ma non posso permettere che venga meno a se stessa. “Votalo, ti prego”. “Tu lo voterai?”. Rispondo di no. Non so se mi presenterò in aula domani. Forse dovrei dimettermi. Jessica non parla oltre. Non fa obiezioni. Anche a lei hanno telefonato dal partito. Anche a lei hanno confermato l’ordine di scuderia: voto a Travai per un governo di grande coalizione subito dopo. L’unico possibile, ormai. E’ un ragionamento discutibile sul piano ideologico, ma nel merito ineccepibile. Poi ,sempre per telefono, l’hanno convocata domani pomeriggio, appena dopo la votazione, per un assemblea del gruppo. Domani la riunione di gruppo tocca a me. Ma Jessica ha più assenze di me, e quindi dovrebbe stare più attenta a rispettare gli ordini.  Perché per quanto il capo le voglia bene almeno farsi vedere è buona educazione. Ora spengo il phon ed esco dal bagno, mi sembra di buttarmi in mare aperto. Ho bisogno di aria e apro la finestra. Fermo ancora una volta. A guardare la pioggia. “Perché ,fra tutti quelli che hai incantato, dovevi tormentare proprio me?” le chiedo, perché questa rabbia sottile si sta insinuando come veleno nel mio corpo, e tende ogni muscolo quasi fino a farlo strappare. Mi coccolo per un secondo nella possibilità di distruggere con le mie parole una bugia. “Te l’ho detto: sei una persona interessante” fa lei, troppo tranquilla. Poi poggia il piatto e si avvicina. “E io sono una bambina curiosa”. Scoppio quasi a ridere. “Sai che è una frase da porno di pessima qualità?”. “Sì, forse sì”. Vorrei scappare per Roma, correre in macchina senza guardare i semafori o i pedoni. Dovrei ascoltare di più il mio istinto. Sono orgoglioso di quello che penso, sono orgoglioso del mio ragionare. Ma non è abbastanza. Vorrei cacciare fuori qualche bestemmia: perché per tutto mi ci è sempre voluto così tanto? Giorni a testa china, tanti sì e poche altre parole. Ed ora si continua, perché pare sia l’unico modo per andare avanti qui. E la cosa che mi fa incazzare di più è che magari mi perdonerebbero anche un inciucio con Margiotta, ma poi sarei legato in eterno a loro, ai quelli sopra di me, al partito. Il mio voto per il loro consenso. C’è un modo per sfuggire a questo circolo vizioso? Cerco di sopprimere un sorriso che mi si sta svegliando. Faccio qualche passo indietro, raccolgo la giacca sul divano. Esco. E lei dietro di me. Ma non è programmato, è un accordo tacito. E’ un voto segreto. Fra gli strascichi di luce dei lampioni, rotti a intermittenza, raggiungo il Lungo Tevere. Oggi è destino che cammini senza accorgermi di dove vado. Quello che ho di fronte a me si allontana, come un sogno, un progetto ,un qualcosa da realizzare di irrealizzabile. Io faccio politica, e sono un deputato della Repubblica. Mi sono bastati pochi giorni per accorgermi di essere soprattutto un uomo. E’ questo che forse fatico a capire. Per la gente sono uno che decide, che s’incontra, che bisbiglia cose importanti, che sta sempre lì a macchinare qualcosa. Sbagliato: la gente come noi vota leggi , manda a casa governi, scambia favori elettorali ,corrompe e si fa corrompere con la stessa normalità dell’andare a far la spesa. Perché è così che funziona. Ma fuori dal palazzo, dentro a casa, siamo davvero come gli altri. E io posso innamorarmi di una donna che non la pensa come me. Ora ha una ciocca di capelli che sventola appena. Tiene le mani dentro un cappotto leggero. Credo sia blu. Ci scambiamo sguardi segreti, buttati appena oltre la siepe. Non le darò la soddisfazione di vincere. Sarebbe stato conoscersi qualche anno fa. Magari all’università. Saremmo potuti venire a Roma per una vacanza. Avremmo potuto crescere insieme, e farci insieme un’idea del mondo. Siamo stati abbandonati a noi stessi, ed io sono diventato uno sfigato. Lei è diventata una troia. Se lei non mi incolpa per quello che sono, io non posso farlo per quello che è lei. Domani l’Italia pranzerà con un nuovo capo dello stato. Io invece pranzerò da solo. Un panino veloce prima di andare alla riunione del gruppo. C’è qualcuno che ancora spera nei franchi tiratori, ma le ultime notizie, quelle che i giornalisti non sanno, raccontano una storia diversa: alla fine la situazione è stata chiarita. Anche i deputati più restii hanno accettato di spedire Travai al Quirinale. Perché è l’unica possibilità. Perché l’alternativa…nessuno riesce a pensarci. Se siamo finiti qui è anche colpa della gente. La nostra coscienza può fare a meno di pentirsi. Però mi sento ancora perso come questo pomeriggio, quando Travai era stato affossato dai nostri e dai loro messi assieme. Pensavo fosse perché non mi piace il nome, non approvo la scelta. Invece ho scoperto che ho solo paura di far finire questo limbo. Da domani la politica tornerà ad addormentarsi su scelte non fatte, su governi impacciati o ,peggio,pigri, su opposizioni sterili, su grandi urla di dolore e sui nulla di fatto. Su incontri al vertice e su futili accordi. Su dichiarazioni prestampate e inutili leggi sull’istituzione della festa del cavolo rosso. Su applausi a salve in aula e su piccoli scandali quotidiani. Su odi di parte che odi di parte in realtà non sono. Sui compromessi al ribasso. Sulla vita di ogni giorno. La peggiore. Nei momenti di crisi invece ,almeno per pochi istanti, è bello pensare di fare politica. Perché è quando si deve votare in segreto, è quando si è lontani dalle case, dalle fabbriche e dalle strade, che la politica può illudersi di cambiare il mondo. Io mi sono illuso ed è stato bellissimo. 

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