Diciottesimo
scrutinio:
27 Aprile
Quando la
vedo mi chiedo perché non sono nato diverso: invece di stare in disparte
durante la ricreazione in prima media potevo uscire in corridoio e farmi
vedere. Sarebbe bastato. Sarebbe bastato anche alzarsi più spesso dal banco
durante le pause. Ma era contro le regole, mi dicevano. Allora pensavo che a
qualcosa potessero servire ,quelle regole. Lo penso ancora oggi, ma non ho la
stessa fiducia nell’utilità dell’obbedienza. Oggi sono stato ubbidiente. Non mi
sono mai alzato dal mio banco, se non al momento del voto. E sono sceso
misurando ogni passo, cercando di imparare la solennità dei grandi. Ho votato
secondo le regole. E dopo poche ore mi sono trovato ancora diviso dalla donna
che amo, che anelo, e che mi guardava cercando di sussurrarmi che fra quei
cento franchi tiratori che hanno affossato Travai c’era pure lei. Ho cercato di
ignorare la pioggia per diversi minuti, ma poi mi sono ritrovato in Piazza del
Popolo, sì in Piazza del Popolo, bagnato fradicio, con una donna con un
ombrello rosa schocking al mio fianco, pronta ad accogliermi sotto quel suo
obbrobrio. “Quanto tempo è passato?” chiedo, ma non ricevo risposta. Sono
insoddisfatto. Forse dovrei consigliarle di ricorrere alla chirurgia estetica,
per quella sua ruga. Un piccolo taglietto e tornerebbe la statua di sempre.
Però sarebbe come perdere la verginità. Tagliarsi la faccia. “Perché hai fatto
il franco oggi?” devo chiederle. Ne ho un bisogno fisico. “Per dimostrarti
quello che sono” risponde, poi abbassa l’ombrello e lo chiude. Adesso staranno
votando scheda bianca laggiù a Montecitorio. Niente rottura su Travai,
assicurano: solo un momento di riflessione. Per far digerire meglio il nome ai
vari gruppi, che forse sono stati colpiti un po’ a freddo. Cazzo, io sono stato
colpito a gelido, e questa pioggia non fa che avvicinare la venuta dei miei
reumatismi. Sono davvero così ipocrita da voler mettere per forza i miei ideali
davanti alla mia voglia? Oppure sono troppo sincero nel voler fare la stessa
cosa. Se fossimo solo noi due al mondo, Jessica, non avrei paura di baciarti.
Ma c’è troppo un tutto qua fuori, e mi sento indifeso di fronte al mio destino.
Quello che mi capiterà domani se dovessi tradire. “Non posso fare un inciucio
con te, Jessica” le dico, qualche passante ci osserva stranito. Pensa che
abbiamo voglia di prenderci un’influenza. “Non l’ho mai chiesto, dai ,ora
andiamo” fa lei allungandomi la mano. Non raccolgo il suo invito, ma la seguo a
poca distanza. Ho voglia di asciugarmi e se possibile rimanere chiuso nel bagno
abbracciato alla stufa per il resto della giornata, fino a risvegliarmi
ustionato di terzo grado al policlinico Gemelli. E con accanto Margiotta a
leggermi le ultime notizie sull’attualità politica di questo paese di merda. Ai
tempi di mio padre era più facile: quante coppie ci saranno state con lui
comunista e lei democristiana? Anche i miei nonni magari erano così. Ma io non
sono comunista. Lei invece, se necessario, potrebbe anche essere democristiana.
Non penso creda in dio, ma potrebbe entrare in chiesa anche due volte a
settimana, per forza maggiore. E questa sua sfacciata menzogna è la cosa più
sincera che ho di lei. Non mi ha mai raccontato di essere un’idealista, non mi
ha mai raccontato di credere in qualcosa. Mi asciugo i capelli col phon davanti
allo specchio di casa e ripeto nella mia testa le parole del tg che annunciano
l’ennesimo nulla di fatto. Mi hanno chiamato dal partito. Domani si punta di nuovo
su Travai. Ho detto “ok” poi ho attaccato. Ho chiamato casa. Mia madre mi ha
detto “fà la cosa giusta”. E’ bello vivere d’inciuci, perché un inciucio è
sempre la cosa giusta per tutti. L’inciucio è il consiglio del prete la
domenica, è il cercare la verità nel compromesso, è la prudenza contro la
temerarietà, è la modestia contro la vanità, è la rinuncia che vince sulla
pretesa. Forse perdono tutti, e in politica conta vincere, ma col “prima non
prenderle” qualcuno ci ha vinto più di un campionato. E poi ,per gente come me,
l’importante è stato più che altro partecipare. Sono sessant’anni che perdiamo:
un pareggio domani è già tanto. La porta del bagno si apre. Prima di Jessica
entra una fastidiosa musichetta anni ’80, di quelle con il ritornello che crea
dipendenza e non si smette di canticchiarlo. “Tu non mangi niente?” mi chiede.
Ha in mano un piatto con due fette di pane e prosciutto. “Adesso arrivo”. Se ne
va muovendo il culo a ritmo. E’ ancora un po’ bagnata. “Domani vota Travai” le
dico ,senza spegnere il phon. Spero mi senta. Lei si gira. “Perché? Non è
meglio votare un candidato più serio? Quello è uno come gli altri”. Ha ragione,
ma non posso permettere che venga meno a se stessa. “Votalo, ti prego”. “Tu lo
voterai?”. Rispondo di no. Non so se mi presenterò in aula domani. Forse dovrei
dimettermi. Jessica non parla oltre. Non fa obiezioni. Anche a lei hanno
telefonato dal partito. Anche a lei hanno confermato l’ordine di scuderia: voto
a Travai per un governo di grande coalizione subito dopo. L’unico possibile,
ormai. E’ un ragionamento discutibile sul piano ideologico, ma nel merito
ineccepibile. Poi ,sempre per telefono, l’hanno convocata domani pomeriggio,
appena dopo la votazione, per un assemblea del gruppo. Domani la riunione di
gruppo tocca a me. Ma Jessica ha più assenze di me, e quindi dovrebbe stare più
attenta a rispettare gli ordini. Perché
per quanto il capo le voglia bene almeno farsi vedere è buona educazione. Ora
spengo il phon ed esco dal bagno, mi sembra di buttarmi in mare aperto. Ho
bisogno di aria e apro la finestra. Fermo ancora una volta. A guardare la
pioggia. “Perché ,fra tutti quelli che hai incantato, dovevi tormentare proprio
me?” le chiedo, perché questa rabbia sottile si sta insinuando come veleno nel
mio corpo, e tende ogni muscolo quasi fino a farlo strappare. Mi coccolo per un
secondo nella possibilità di distruggere con le mie parole una bugia. “Te l’ho
detto: sei una persona interessante” fa lei, troppo tranquilla. Poi poggia il
piatto e si avvicina. “E io sono una bambina curiosa”. Scoppio quasi a ridere.
“Sai che è una frase da porno di pessima qualità?”. “Sì, forse sì”. Vorrei
scappare per Roma, correre in macchina senza guardare i semafori o i pedoni.
Dovrei ascoltare di più il mio istinto. Sono orgoglioso di quello che penso,
sono orgoglioso del mio ragionare. Ma non è abbastanza. Vorrei cacciare fuori
qualche bestemmia: perché per tutto mi ci è sempre voluto così tanto? Giorni a
testa china, tanti sì e poche altre parole. Ed ora si continua, perché pare sia
l’unico modo per andare avanti qui. E la cosa che mi fa incazzare di più è che
magari mi perdonerebbero anche un inciucio con Margiotta, ma poi sarei legato
in eterno a loro, ai quelli sopra di me, al partito. Il mio voto per il loro
consenso. C’è un modo per sfuggire a questo circolo vizioso? Cerco di
sopprimere un sorriso che mi si sta svegliando. Faccio qualche passo indietro,
raccolgo la giacca sul divano. Esco. E lei dietro di me. Ma non è programmato,
è un accordo tacito. E’ un voto segreto. Fra gli strascichi di luce dei
lampioni, rotti a intermittenza, raggiungo il Lungo Tevere. Oggi è destino che
cammini senza accorgermi di dove vado. Quello che ho di fronte a me si
allontana, come un sogno, un progetto ,un qualcosa da realizzare di
irrealizzabile. Io faccio politica, e sono un deputato della Repubblica. Mi
sono bastati pochi giorni per accorgermi di essere soprattutto un uomo. E’
questo che forse fatico a capire. Per la gente sono uno che decide, che
s’incontra, che bisbiglia cose importanti, che sta sempre lì a macchinare
qualcosa. Sbagliato: la gente come noi vota leggi , manda a casa governi,
scambia favori elettorali ,corrompe e si fa corrompere con la stessa normalità
dell’andare a far la spesa. Perché è così che funziona. Ma fuori dal palazzo,
dentro a casa, siamo davvero come gli altri. E io posso innamorarmi di una
donna che non la pensa come me. Ora ha una ciocca di capelli che sventola
appena. Tiene le mani dentro un cappotto leggero. Credo sia blu. Ci scambiamo
sguardi segreti, buttati appena oltre la siepe. Non le darò la soddisfazione di
vincere. Sarebbe stato conoscersi qualche anno fa. Magari all’università.
Saremmo potuti venire a Roma per una vacanza. Avremmo potuto crescere insieme,
e farci insieme un’idea del mondo. Siamo stati abbandonati a noi stessi, ed io
sono diventato uno sfigato. Lei è diventata una troia. Se lei non mi incolpa
per quello che sono, io non posso farlo per quello che è lei. Domani l’Italia
pranzerà con un nuovo capo dello stato. Io invece pranzerò da solo. Un panino
veloce prima di andare alla riunione del gruppo. C’è qualcuno che ancora spera
nei franchi tiratori, ma le ultime notizie, quelle che i giornalisti non sanno,
raccontano una storia diversa: alla fine la situazione è stata chiarita. Anche
i deputati più restii hanno accettato di spedire Travai al Quirinale. Perché è
l’unica possibilità. Perché l’alternativa…nessuno riesce a pensarci. Se siamo
finiti qui è anche colpa della gente. La nostra coscienza può fare a meno di
pentirsi. Però mi sento ancora perso come questo pomeriggio, quando Travai era
stato affossato dai nostri e dai loro messi assieme. Pensavo fosse perché non
mi piace il nome, non approvo la scelta. Invece ho scoperto che ho solo paura
di far finire questo limbo. Da domani la politica tornerà ad addormentarsi su
scelte non fatte, su governi impacciati o ,peggio,pigri, su opposizioni
sterili, su grandi urla di dolore e sui nulla di fatto. Su incontri al vertice
e su futili accordi. Su dichiarazioni prestampate e inutili leggi sull’istituzione
della festa del cavolo rosso. Su applausi a salve in aula e su piccoli scandali
quotidiani. Su odi di parte che odi di parte in realtà non sono. Sui
compromessi al ribasso. Sulla vita di ogni giorno. La peggiore. Nei momenti di
crisi invece ,almeno per pochi istanti, è bello pensare di fare politica.
Perché è quando si deve votare in segreto, è quando si è lontani dalle case,
dalle fabbriche e dalle strade, che la politica può illudersi di cambiare il
mondo. Io mi sono illuso ed è stato bellissimo.
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