domenica 20 ottobre 2013

Nono scrutinio




Nono scrutinio:
22 Aprile

Sto pensando a quello che mi ha detto ieri l’onorevole Gullotta, poco prima del voto decisivo: “A volte mettere zizzania allunga la vita in questo posto”. E’ tutto il contrario di ciò che mi hanno sempre insegnato. Eppure Gullotta non è un cretino. E’ uno che fa il suo lavoro da più di trent’anni. E pare avermi preso in simpatia. Mi ha offerto un caffè e mi ha fatto vedere le foto della sua famiglia. Poi mi ha detto perché, secondo lui, io sto sprecando tempo. “Dovresti buttarti nella mischia, non dico fare la testa calda, ma accodarti a qualche capo corrente, fare la tua scelta, sostenere qualcuno in vista del prossimo congresso…io un nome per te ce l’avrei…Bucci, con lui vai sul sicuro…questa volta ce la fa a diventare segretario. Se ti metti dietro a lui fai carriera, fidati di me”. L’onorevole Gullotta non parla mai a caso. E sceglie sempre con chi parlare. O cosa votare. Oramai sono sicuro che lui è uno dei dieci che hanno affondato il povero Cilemi, che ora sarà ancora a casa a rodersi lo stomaco per la disperazione. E’ andato a un passo dalla vittoria. Per due volte. La seconda, quella più importante, è finita molto male. Tutti presenti in aula, ma solo 494 voti. Dieci in meno del quorum. Gullotta non confesserà mai di aver tradito, ma nessun buon politico confessa mai. I politici sono gente da intuire, da capire nel carattere, da leggere come uno psicanalista con una star del cinema. Sono gente complessa, perché sono gente qualunque buttata nella mischia dell’arena. Devi vedere che traiettorie che s’inventano per sfuggire ai morsi dei leoni del Colosseo. Quella gente che parla male degli impiegati delle poste e dei parlamentari non potrà mai capire. Non avrà mai ragione. Gullotta mi ha detto di prendere posizione, di sostenere la corsa alla segreteria di Bucci, che pare essere in pole position. Oggi ci penso perché ieri non ero in grado di farlo. Sono stato molto triste, lo confesso. Ci sono rimasto male. Trovandomi a riconsiderare le scelte di una vita nel giro di un’ora, ho preso a girare per Roma pregando che nessuno mi riconoscesse e non mi tirasse monetine addosso. Ma chi volete che mi conosca? Sono un signor nessuno, che non ha mai preso una posizione. Sono stato sull’orlo di piangere ieri sera. Sono stato sull’orlo di valutare le dimissioni. Capita spesso, dicono, ai giovani inesperti. Si lasciano dominare dal panico. Dalla paura. Invece bisogna solo farci il callo. Perché un tradimento può sempre capitare, e non è un buon motivo per mollare undicimila euro al mese. Avrei potuto chiamare un qualsiasi collega per un po’ di conforto, ma so che mi avrebbero regalato le solite frasi fatte, e mi avrebbero confessato che anche loro, dieci anni fa, quel giorno funesto, avevano pensato a chiuderla lì, ma poi qualcosa li ha convinti a restare, ed ora si sentono ancora in grado di dare qualcosa. Si sentono ancora un poco potenti. Almeno un poco. Si sentono ancora addosso la fiducia di quella gente che di meglio non sa trovare, perché gli altri fanno proprio schifo e loro saranno italiani ma non sono cretini. Io devo forse abituarmi a sentirmi potente. Non ho chiamato nessuno ieri sera. Ho riflettuto senza trovare risposte. Ho guardato l’acqua del Tevere. Ho visto San Pietro da lontano. Ho pregato. Ho chinato la testa e ho calciato sassolini con il piede. Ho osservato un gruppo di ragazzi giocare a pallone e ho visto una delle due squadre vincere. Mi sono sentito un perdente. Dopo la caduta di Cilemi non si è dimesso nessuno da noi, semplicemente perché non c’era più nessuno che si potesse dimettere. Siamo un’armata Brancaleone in piena regola. Io ne faccio parte. Mi sembra l’Inter dei primi anni duemila: una inutile collezione di figurine. Ieri mi sono sentito tanto come un Gresko o come un Vampeta. Forse non li ricordate. Allora capirete perché ieri ero triste. Forzandomi a tornare a casa sotto la luce dei lampioni ho visto la mia finestra aperta sotto al mio palazzo e mi sono fermato. Sono rimasto lì immobile per almeno un quarto d’ora. “C’è qualcosa che si può fare per tirarti su?” mi ha chiesto Jessica affacciandosi. Aveva in mano una sigaretta. Aveva lo stesso vestito amaranto di poche ore prima. Era bellissima, ma mi sembrava tanto lontana. “Posso portarti fuori a cena?” mi ha chiesto. Ho scosso la testa. “Per la verità preferirei cucinare io qualcosa” ho detto senza osare guardarla. Lei è ancora mia nemica. Lei è ancora dalla parte sbagliata. Lei oggi non ha votato per Cilemi. Lei è colpevole. Lei è Margiotta e lei mi fa tanta  voglia di sesso. “Allora sali su, e fammi venire l’acquolina in bocca”. Credo sia tanto dolce andare a letto col nemico. Peccato io non sia ancora mai andato a letto con Margiotta. Sarebbe una sensazione agrodolce sul momento. Mi sentirei molto in colpa. Mi sentirei di averla usata, di aver rinunciato a una parte della mia onestà, per non averle detto prima del sesso che io la considero ancora una gran troia. Alla fine non me ne fregherebbe un cazzo. Avrei tanto voluto ieri sera andare a letto con lei. Ci sono andato vicino. Quando l’ho trovata fuori dalla porta aperta con la sigaretta in bocca ad aspettarmi mi sono eccitato, anche se ero tanto, tanto triste. Sei un incantesimo ,Margiotta. Contavo i miei anni ad uno ad uno per convincermi di non essere troppo vecchio per queste stupidaggini. Sono un adulto. “Vuoi essere il mio fantasma?” le ho chiesto a bruciapelo e lei forse ci è rimasta un po’ male, ma non si è scomposta e mi ha ripetuto che sono un tipo interessante. Questa parola non fa che ronzarmi in testa: sono interessante. Che vuol dire? Che ti suscita curiosità uno come me? O che vorresti conoscermi meglio? Oppure mi vuoi osservare? Come una giraffa in un safari. Meglio pensare alle zucchine da tagliare. “Cosa mi prepari?”, “Una frittata”, “E poi?” ha chiesto ancora. Mi sono voltato e forzato a guardarla negli occhi. Aveva un sorriso cretino, era ignara di tutto oppure voleva solo farmi incazzare. “Cosa ti piacerebbe?”, “Sformato di patate, puoi farlo?”, “Certo” ho risposto e mi sono sentito fiero di me. Penso che in fondo la mia vita potrebbe anche a fare a meno di quello che succede a Montecitorio. Che la mia felicità non dovrebbe dipendere da quello. Non è così per tutti? Ma, riflessa nel sacco di patate, c’era una domanda che non posso eludere: è possibile amare qualcosa di così diverso da quello in cui credi? Non è una normale diversità: non è bianco e nero. Puoi amare qualcuno che disprezzi, che con le sue scelte, per te, ha fatto del male al tuo paese. E’ una domanda talmente grande che mi esce dalla testa. Ma non credo che entri in quella di Jessica. Lei ieri sera fumava con molta tranquillità, e pareva certa di tutto. E’ come un quadro: immobile nella sua eterna bellezza. Tocca a me rischiare, scegliere di credere in quello che mi dice. Che sono un tipo interessante. Mi sentivo uno straniero in casa mia. “Ti aiuto a sbucciare le patate?” mi ha chiesto dopo aver spento la sigaretta. Annuivo. E’ venuta più vicino a me e ha iniziato a lavorare. “Mi dispiace per oggi…per te intendo” ha mormorato e io mi mordevo il labbro. “Non serve che tu faccia finta”, “Non è finta, mi dispiace per te…non mi dispiace per quello che è successo, per i miei colleghi”. “E per te? Che senso ha tutto questo?” ho domandato, rischiavo di tagliarmi un dito con questo maledetto coltello di mia madre. Troppo affilato. “Io non mi pongo domande…io eseguo” è stata la sua risposta e mi ha lasciato deluso. “Ma allora perché fare quello che facciamo?”, “E’ una cosa che capita, come l’amore”, “Questa è una stronzata”. Il mio improvviso cambio di tono deve averla scossa. Ora stava guardando proprio nei miei occhi. “Cazzo, devi essere tanto depresso…bisogna evitare le paranoie, ora ci penso io” e si allontanava. E’ andata al tavolo a trafficare col mio portatile. Come ha fatto ad entrarci? Ah già, non ho la password. Prima o poi dovrei metterla. Cosa stai facendo Jessica? “Mi pare di aver capito che ti piace la musica dei vecchi, vero?” ha fatto un po’ più forte del dovuto e ha messo una musica che non pensavo nemmeno di avere sul pc. “Posso chiederti che canzone è?” le faccio, “Then he kissed me” ha urlato sovrastando la musica troppo alta ed è tornata a sbucciare patate. Ma questa volta i suoi fianchi si muovevano con ritmo. Si è tolta le scarpe e  le ha abbandonate sul pavimento della sala, ha iniziato a mimare le parole della canzone. “Non ti facevo così old style” le ho detto, “A me non piace, ma a te sì” mi ha risposto. “Forse dovrei sentirmi colpevole” ho detto e mi viene ancora da ridere al pensiero. Stavo tagliando quelle patate che nemmeno con l’accetta verrebbero così brutte. “Ridi di come ballo?”, “No, rido di me”, “Ridi di me, è più divertente” e ha preso a ballare e a scuotere la testa. Come quella sera in discoteca ho potuto vedere il suo viso a sprazzi fra le ciocche di capelli abbastanza curati da suggerirmi una doppia seduta mensile dal parrucchiere. Ne passavano un po’ di canzoni, una più vecchia dell’altra. Ma chi l’ha fatta questa playlist, mio nonno? Quella luna di ieri s’intonava bene con l’amaranto del vestito che volteggiava davanti a me. Quasi lo rendeva come vivo. Dopo un po’ ho chiuso gli occhi e ho preso a tagliare alla cieca. Sono riuscito a non amputarmi nessuna falange. Ho messo le patate a bollire. Dovevo preparare la frittata. Dove sono le zucchine? Quest’altra canzone la conoscevo, “Mama Said” delle Shirelles. Questa a Jessica piaceva di più, perché stava ballando meglio. “Nelle disco non fanno mai serate con queste canzoni, eh?” ho detto a voce alta sperando che mi sentisse. Come ero felice! “Forse quarant’anni fa!” ha risposto lei e continuava a ballare. Ha fatto una giravolta e il vestito si è  alzato leggermente, era tutto spiegazzato ora. L’ha rovinato. Ma non gliene importa molto. Dovreste vedere come danza quel dannatissimo culo. “Mi sento tanto una casalinga anni ‘60” mi ha detto, io guardavo al mio coltello nella mano e alle zucchine da tagliare. “Anche io” ho risposto e lei è scoppiata a ridere. “Vuoi ballare?” ha chiesto, “Non penso” ho fatto abbassando lo sguardo. Sapessi ballare ti farei girare la testa, Jessica, stasera. Quando mi capiterà più una serata come quella? Io quelle canzoni le ho sempre ascoltate da solo, sognando che una come lei mi ballasse davanti, ogni giorno, con la colazione pronta sulla tovaglia a quadretti rossi e bianchi. Che belle parole da pubblicità del Mulino Bianco che mi vengono stasera! Jessica riderebbe al riguardo. Riderebbe di me. Per ora la accontento e rido io di lei, ma solo per nascondere il tormento del piacere. Quasi potevo vedere i suoi occhi brillare. Forse stava piangendo. “Un po’ piace anche a te, non credi?” le ho domandato ma lei non ha risposto, e ha confermato i miei felici dubbi. Alla fine abbiamo mangiato patate bollite e zucchine in padella. Non si è lamentata un solo secondo. Ha fumato quattro sigarette una dopo l’altra, forse per dimenticare il cibo. Mia madre mi aveva detto che prima o poi sarebbero capitati momenti così. Solo non me lo aspettavo con lei. Non ha nemmeno chiesto se poteva rimanere a dormire da me. Si è appropriata della mia stanza e io ho educatamente scelto di nuovo il divano per la notte. Mi ha sussurrato “vieni con me” prima di andare in camera a spogliarsi. Avrei voluto dirle “ancora no” ma sono stato zitto. L’ho lasciata andare e le ho augurato la buonanotte. Mi sono sdraiato sul divano e mi sono addormentato ancora con l’odore del fumo dentro la stanza e il computer acceso, ma senza musica. Mi sono svegliato con tante vecchie canzoni in giro per la testa. E sto pensando ancora alle parole di Gullotta. Non ho mai creduto che la vita fosse una questione di scelte…più che altro di culo, dicevo. Ma adesso, questo Bucci…ne vale davvero la pena crederci oppure è solo altro fumo negli occhi? Certamente è più sicuro credere a quello in cui credo adesso: il posto fisso per tutti, la giustizia sociale, le brave persone al governo. Magari la politica non è fatta per le brave persone e crederci è solo un modo per ingannare se stessi. Sto bevendo il caffè che mi arriva un messaggio da un collega, dice “Per oggi avanti con Cilemi”. Questi sono fuori di testa: oggi sarà un miracolo se Cilemi supererà i 300 voti. In fondo credo sia solo un modo per prendere altro tempo. Mi tocco la fronte e con la calibrata lungimiranza di un politico navigato dico a me stesso “Almeno i prossimi quattro scrutini andranno a vuoto”. “Parli da solo?” chiede Jessica entrando in cucina. E’ già vestita e pronta per andare a Montecitorio. “Prenderò un taxi” mi dice e mi ruba un biscotto dalla confezione. “Aspetta!” faccio io prima che lei possa uscire. Si gira verso di me e attende che io parli. “Come hai fatto a essere eletta, Jessica, chi ti ha messo in lista?” le domando. Sto abusando della sua cortesia e lei lo sa, ma non pare esserne seccata. Oggi sembra più vecchia di quello che è. Ha un po’ di occhiaie e in generale pare truccata meno. Oggi Jessica assomiglia a un Raffaello venuto fuori un po’ male. “Vuoi sapere se ho fatto sesso col capo per essere candidata?” chiede. Posso solo annuire, anche se sto tremando. “Sì,l’ho fatto. Ci vediamo dopo”.

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