22 Aprile
Sto pensando
a quello che mi ha detto ieri l’onorevole Gullotta, poco prima del voto
decisivo: “A volte mettere zizzania allunga la vita in questo posto”. E’ tutto
il contrario di ciò che mi hanno sempre insegnato. Eppure Gullotta non è un
cretino. E’ uno che fa il suo lavoro da più di trent’anni. E pare avermi preso
in simpatia. Mi ha offerto un caffè e mi ha fatto vedere le foto della sua
famiglia. Poi mi ha detto perché, secondo lui, io sto sprecando tempo.
“Dovresti buttarti nella mischia, non dico fare la testa calda, ma accodarti a
qualche capo corrente, fare la tua scelta, sostenere qualcuno in vista del
prossimo congresso…io un nome per te ce l’avrei…Bucci, con lui vai sul
sicuro…questa volta ce la fa a diventare segretario. Se ti metti dietro a lui
fai carriera, fidati di me”. L’onorevole Gullotta non parla mai a caso. E
sceglie sempre con chi parlare. O cosa votare. Oramai sono sicuro che lui è uno
dei dieci che hanno affondato il povero Cilemi, che ora sarà ancora a casa a
rodersi lo stomaco per la disperazione. E’ andato a un passo dalla vittoria.
Per due volte. La seconda, quella più importante, è finita molto male. Tutti
presenti in aula, ma solo 494 voti. Dieci in meno del quorum. Gullotta non
confesserà mai di aver tradito, ma nessun buon politico confessa mai. I
politici sono gente da intuire, da capire nel carattere, da leggere come uno
psicanalista con una star del cinema. Sono gente complessa, perché sono gente
qualunque buttata nella mischia dell’arena. Devi vedere che traiettorie che
s’inventano per sfuggire ai morsi dei leoni del Colosseo. Quella gente che
parla male degli impiegati delle poste e dei parlamentari non potrà mai capire.
Non avrà mai ragione. Gullotta mi ha detto di prendere posizione, di sostenere
la corsa alla segreteria di Bucci, che pare essere in pole position. Oggi ci
penso perché ieri non ero in grado di farlo. Sono stato molto triste, lo
confesso. Ci sono rimasto male. Trovandomi a riconsiderare le scelte di una
vita nel giro di un’ora, ho preso a girare per Roma pregando che nessuno mi
riconoscesse e non mi tirasse monetine addosso. Ma chi volete che mi conosca?
Sono un signor nessuno, che non ha mai preso una posizione. Sono stato
sull’orlo di piangere ieri sera. Sono stato sull’orlo di valutare le
dimissioni. Capita spesso, dicono, ai giovani inesperti. Si lasciano dominare
dal panico. Dalla paura. Invece bisogna solo farci il callo. Perché un
tradimento può sempre capitare, e non è un buon motivo per mollare undicimila
euro al mese. Avrei potuto chiamare un qualsiasi collega per un po’ di
conforto, ma so che mi avrebbero regalato le solite frasi fatte, e mi avrebbero
confessato che anche loro, dieci anni fa, quel giorno funesto, avevano pensato
a chiuderla lì, ma poi qualcosa li ha convinti a restare, ed ora si sentono
ancora in grado di dare qualcosa. Si sentono ancora un poco potenti. Almeno un
poco. Si sentono ancora addosso la fiducia di quella gente che di meglio non sa
trovare, perché gli altri fanno proprio schifo e loro saranno italiani ma non
sono cretini. Io devo forse abituarmi a sentirmi potente. Non ho chiamato
nessuno ieri sera. Ho riflettuto senza trovare risposte. Ho guardato l’acqua
del Tevere. Ho visto San Pietro da lontano. Ho pregato. Ho chinato la testa e
ho calciato sassolini con il piede. Ho osservato un gruppo di ragazzi giocare a
pallone e ho visto una delle due squadre vincere. Mi sono sentito un perdente. Dopo
la caduta di Cilemi non si è dimesso nessuno da noi, semplicemente perché non
c’era più nessuno che si potesse dimettere. Siamo un’armata Brancaleone in
piena regola. Io ne faccio parte. Mi sembra l’Inter dei primi anni duemila: una
inutile collezione di figurine. Ieri mi sono sentito tanto come un Gresko o
come un Vampeta. Forse non li ricordate. Allora capirete perché ieri ero
triste. Forzandomi a tornare a casa sotto la luce dei lampioni ho visto la mia
finestra aperta sotto al mio palazzo e mi sono fermato. Sono rimasto lì immobile
per almeno un quarto d’ora. “C’è qualcosa che si può fare per tirarti su?” mi
ha chiesto Jessica affacciandosi. Aveva in mano una sigaretta. Aveva lo stesso
vestito amaranto di poche ore prima. Era bellissima, ma mi sembrava tanto
lontana. “Posso portarti fuori a cena?” mi ha chiesto. Ho scosso la testa. “Per
la verità preferirei cucinare io qualcosa” ho detto senza osare guardarla. Lei
è ancora mia nemica. Lei è ancora dalla parte sbagliata. Lei oggi non ha votato
per Cilemi. Lei è colpevole. Lei è Margiotta e lei mi fa tanta voglia di sesso. “Allora sali su, e fammi
venire l’acquolina in bocca”. Credo sia tanto dolce andare a letto col nemico.
Peccato io non sia ancora mai andato a letto con Margiotta. Sarebbe una
sensazione agrodolce sul momento. Mi sentirei molto in colpa. Mi sentirei di
averla usata, di aver rinunciato a una parte della mia onestà, per non averle
detto prima del sesso che io la considero ancora una gran troia. Alla fine non
me ne fregherebbe un cazzo. Avrei tanto voluto ieri sera andare a letto con
lei. Ci sono andato vicino. Quando l’ho trovata fuori dalla porta aperta con la
sigaretta in bocca ad aspettarmi mi sono eccitato, anche se ero tanto, tanto
triste. Sei un incantesimo ,Margiotta. Contavo i miei anni ad uno ad uno per
convincermi di non essere troppo vecchio per queste stupidaggini. Sono un
adulto. “Vuoi essere il mio fantasma?” le ho chiesto a bruciapelo e lei forse
ci è rimasta un po’ male, ma non si è scomposta e mi ha ripetuto che sono un
tipo interessante. Questa parola non fa che ronzarmi in testa: sono
interessante. Che vuol dire? Che ti suscita curiosità uno come me? O che
vorresti conoscermi meglio? Oppure mi vuoi osservare? Come una giraffa in un
safari. Meglio pensare alle zucchine da tagliare. “Cosa mi prepari?”, “Una
frittata”, “E poi?” ha chiesto ancora. Mi sono voltato e forzato a guardarla
negli occhi. Aveva un sorriso cretino, era ignara di tutto oppure voleva solo
farmi incazzare. “Cosa ti piacerebbe?”, “Sformato di patate, puoi farlo?”,
“Certo” ho risposto e mi sono sentito fiero di me. Penso che in fondo la mia
vita potrebbe anche a fare a meno di quello che succede a Montecitorio. Che la
mia felicità non dovrebbe dipendere da quello. Non è così per tutti? Ma,
riflessa nel sacco di patate, c’era una domanda che non posso eludere: è
possibile amare qualcosa di così diverso da quello in cui credi? Non è una
normale diversità: non è bianco e nero. Puoi amare qualcuno che disprezzi, che
con le sue scelte, per te, ha fatto del male al tuo paese. E’ una domanda talmente
grande che mi esce dalla testa. Ma non credo che entri in quella di Jessica.
Lei ieri sera fumava con molta tranquillità, e pareva certa di tutto. E’ come
un quadro: immobile nella sua eterna bellezza. Tocca a me rischiare, scegliere
di credere in quello che mi dice. Che sono un tipo interessante. Mi sentivo uno
straniero in casa mia. “Ti aiuto a sbucciare le patate?” mi ha chiesto dopo aver
spento la sigaretta. Annuivo. E’ venuta più vicino a me e ha iniziato a
lavorare. “Mi dispiace per oggi…per te intendo” ha mormorato e io mi mordevo il
labbro. “Non serve che tu faccia finta”, “Non è finta, mi dispiace per te…non
mi dispiace per quello che è successo, per i miei colleghi”. “E per te? Che
senso ha tutto questo?” ho domandato, rischiavo di tagliarmi un dito con questo
maledetto coltello di mia madre. Troppo affilato. “Io non mi pongo domande…io
eseguo” è stata la sua risposta e mi ha lasciato deluso. “Ma allora perché fare
quello che facciamo?”, “E’ una cosa che capita, come l’amore”, “Questa è una
stronzata”. Il mio improvviso cambio di tono deve averla scossa. Ora stava
guardando proprio nei miei occhi. “Cazzo, devi essere tanto depresso…bisogna
evitare le paranoie, ora ci penso io” e si allontanava. E’ andata al tavolo a
trafficare col mio portatile. Come ha fatto ad entrarci? Ah già, non ho la
password. Prima o poi dovrei metterla. Cosa stai facendo Jessica? “Mi pare di
aver capito che ti piace la musica dei vecchi, vero?” ha fatto un po’ più forte
del dovuto e ha messo una musica che non pensavo nemmeno di avere sul pc.
“Posso chiederti che canzone è?” le faccio, “Then he kissed me” ha urlato
sovrastando la musica troppo alta ed è tornata a sbucciare patate. Ma questa
volta i suoi fianchi si muovevano con ritmo. Si è tolta le scarpe e le ha abbandonate sul pavimento della sala, ha
iniziato a mimare le parole della canzone. “Non ti facevo così old style” le ho
detto, “A me non piace, ma a te sì” mi ha risposto. “Forse dovrei sentirmi
colpevole” ho detto e mi viene ancora da ridere al pensiero. Stavo tagliando
quelle patate che nemmeno con l’accetta verrebbero così brutte. “Ridi di come
ballo?”, “No, rido di me”, “Ridi di me, è più divertente” e ha preso a ballare
e a scuotere la testa. Come quella sera in discoteca ho potuto vedere il suo
viso a sprazzi fra le ciocche di capelli abbastanza curati da suggerirmi una
doppia seduta mensile dal parrucchiere. Ne passavano un po’ di canzoni, una più
vecchia dell’altra. Ma chi l’ha fatta questa playlist, mio nonno? Quella luna
di ieri s’intonava bene con l’amaranto del vestito che volteggiava davanti a
me. Quasi lo rendeva come vivo. Dopo un po’ ho chiuso gli occhi e ho preso a
tagliare alla cieca. Sono riuscito a non amputarmi nessuna falange. Ho messo le
patate a bollire. Dovevo preparare la frittata. Dove sono le zucchine? Quest’altra
canzone la conoscevo, “Mama Said” delle Shirelles. Questa a Jessica piaceva di
più, perché stava ballando meglio. “Nelle disco non fanno mai serate con queste
canzoni, eh?” ho detto a voce alta sperando che mi sentisse. Come ero felice!
“Forse quarant’anni fa!” ha risposto lei e continuava a ballare. Ha fatto una
giravolta e il vestito si è alzato
leggermente, era tutto spiegazzato ora. L’ha rovinato. Ma non gliene importa
molto. Dovreste vedere come danza quel dannatissimo culo. “Mi sento tanto una
casalinga anni ‘60” mi ha detto, io guardavo al mio coltello nella mano e alle
zucchine da tagliare. “Anche io” ho risposto e lei è scoppiata a ridere. “Vuoi
ballare?” ha chiesto, “Non penso” ho fatto abbassando lo sguardo. Sapessi
ballare ti farei girare la testa, Jessica, stasera. Quando mi capiterà più una
serata come quella? Io quelle canzoni le ho sempre ascoltate da solo, sognando
che una come lei mi ballasse davanti, ogni giorno, con la colazione pronta
sulla tovaglia a quadretti rossi e bianchi. Che belle parole da pubblicità del
Mulino Bianco che mi vengono stasera! Jessica riderebbe al riguardo. Riderebbe
di me. Per ora la accontento e rido io di lei, ma solo per nascondere il
tormento del piacere. Quasi potevo vedere i suoi occhi brillare. Forse stava
piangendo. “Un po’ piace anche a te, non credi?” le ho domandato ma lei non ha
risposto, e ha confermato i miei felici dubbi. Alla fine abbiamo mangiato
patate bollite e zucchine in padella. Non si è lamentata un solo secondo. Ha
fumato quattro sigarette una dopo l’altra, forse per dimenticare il cibo. Mia
madre mi aveva detto che prima o poi sarebbero capitati momenti così. Solo non
me lo aspettavo con lei. Non ha nemmeno chiesto se poteva rimanere a dormire da
me. Si è appropriata della mia stanza e io ho educatamente scelto di nuovo il
divano per la notte. Mi ha sussurrato “vieni con me” prima di andare in camera
a spogliarsi. Avrei voluto dirle “ancora no” ma sono stato zitto. L’ho lasciata
andare e le ho augurato la buonanotte. Mi sono sdraiato sul divano e mi sono
addormentato ancora con l’odore del fumo dentro la stanza e il computer acceso,
ma senza musica. Mi sono svegliato con tante vecchie canzoni in giro per la
testa. E sto pensando ancora alle parole di Gullotta. Non ho mai creduto che la
vita fosse una questione di scelte…più che altro di culo, dicevo. Ma adesso,
questo Bucci…ne vale davvero la pena crederci oppure è solo altro fumo negli
occhi? Certamente è più sicuro credere a quello in cui credo adesso: il posto
fisso per tutti, la giustizia sociale, le brave persone al governo. Magari la
politica non è fatta per le brave persone e crederci è solo un modo per ingannare
se stessi. Sto bevendo il caffè che mi arriva un messaggio da un collega, dice
“Per oggi avanti con Cilemi”. Questi sono fuori di testa: oggi sarà un miracolo
se Cilemi supererà i 300 voti. In fondo credo sia solo un modo per prendere
altro tempo. Mi tocco la fronte e con la calibrata lungimiranza di un politico
navigato dico a me stesso “Almeno i prossimi quattro scrutini andranno a
vuoto”. “Parli da solo?” chiede Jessica entrando in cucina. E’ già vestita e
pronta per andare a Montecitorio. “Prenderò un taxi” mi dice e mi ruba un
biscotto dalla confezione. “Aspetta!” faccio io prima che lei possa uscire. Si
gira verso di me e attende che io parli. “Come hai fatto a essere eletta,
Jessica, chi ti ha messo in lista?” le domando. Sto abusando della sua cortesia
e lei lo sa, ma non pare esserne seccata. Oggi sembra più vecchia di quello che
è. Ha un po’ di occhiaie e in generale pare truccata meno. Oggi Jessica
assomiglia a un Raffaello venuto fuori un po’ male. “Vuoi sapere se ho fatto
sesso col capo per essere candidata?” chiede. Posso solo annuire, anche se sto
tremando. “Sì,l’ho fatto. Ci vediamo dopo”.
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