martedì 15 ottobre 2013

Terzo scrutinio




Terzo scrutinio:
19 Aprile


Stamattina, insieme al sole fuori dalla finestra, ho trovato ad accogliermi uno strano senso di inutilità. E’ capitato anche altre volte. Oggi è più forte però. Ho fatto un giro su internet prima di vestirmi. Ho cercato sui giornali la cifra di quanto guadagno. Lo so già, ma volevo sapere anche che ne pensano gli altri. Cosa dicono gli altri. Di me. Di noi. Fanno undicimila euro al mese, netti, senza contare i benefit. Ogni mese ne do via quattromila al mio partito. Lo devo fare. E’ d’obbligo. Sono contento di star bene. Posso dare qualche soldo ai miei, che ne hanno bisogno. Posso togliermi qualche sfizio. Posso desiderare qualcosa ed averla. Sarà troppo dire che desidero Margiotta? Ci ho pensato tutta la notte. Vorrei tanto conoscerla. E se volessi esser cattivo direi che potrei anche comprarmela. Ha l’aria di una che si lascia comprare. Chissà cosa ha fatto per essere messa in quella lista? Sto pensando male. Me ne vergogno. Stamattina, una volta vestito, sono uscito e ho fatto colazione in un bar. Poi sono arrivato qui, di nuovo. E’ passato poco più di un mese dalle elezioni. E io mi sento già inutile. E’ grave, ma non così tanto come io credo. Mi dicono tanti colleghi che per loro è stato lo stesso e, col tempo, hanno imparato ad accontentarsi. Mi dicono che devo cercare di godermi la vita. Andare in vacanza, sposarmi, fare dei bambini, comprare una bella casa ed arredarla come voglio io. Mi dicono che non ci sono tanti in giro così fortunati da potersi permettere queste cose, e chi può deve approfittarne, non rovinarsi la vita con problemi inutili. “E’ proprio vero, c’è sempre qualcosa per cui piangere” ripetono altri a mo’ di scherzo. Io non piango. Ma non mi sento bene. Oggi qualcosa si muove. Ieri c’è stata una riunione fra alcuni deputati, miei colleghi, e hanno deciso, in attesa che i gerontocrati del partito facciano una scelta, di votare per un candidato forte, dall’alto profilo istituzionale. Io non c’ero a quella riunione, ma sono d’accordo con loro. Farò come loro. In tutto faranno cinquanta o sessanta voti. Non è tanto, ma non è nemmeno poco, è se non altro un modo per dare un segnale. Non è stata la decisione di un partito, ma di una corrente. Io non ho nessuna corrente in cui stare. E mentre ci penso vedo Margiotta che mi passa davanti diretta alla buvette. Puzza di fumo. E oggi è vestita di nero. C’è un modo per immaginarla che mi lascia sconvolto. Mi vengono i brividi. Ha preso anche un cornetto, insieme al caffè. Fosse nuda. Provo a immaginarla. Sto tornando indietro di dieci anni. Senza la sua giacca, senza la gonna. Stesa su un letto che non potrebbe mai essere il mio. Al massimo potrei pagare per guardare. Ho passato gli ultimi vent’anni della mia vita a guardare. E sono arrivato fin qui. Mi chiedo se questi altri che mi circondano si sentano importanti. Oppure prenda anche a loro la stessa noia che prende ad un impiegato delle poste ogni mattina. E’ questo che siamo forse, impiegati di lusso. Tanto lusso, certamente. Impiegati. Come ogni altro. La differenza è solo nello stipendio. E nelle gambe di Margiotta ,perché alle poste se la sognano un’impiegata così. Noi invece ce l’abbiamo, e ce la teniamo stretta. Spero. Siamo ancora tutti vivi. Il popolo ci odia. Ma il popolo odia anche gli impiegati delle poste. Perché sono assenteisti. Perché fanno il loro lavoro con indolenza. Perché fanno il minimo indispensabile e non di più. Gli stessi motivi per cui odiano noi. Gli stessi motivi per cui mi sento inutile. Potrei alzare la mano durante la prossima riunione di gruppo,ma non lo farò. Potrei dare un’intervista e proporre io un candidato, ma non lo farò. Potrei, alle prossime elezioni, votare per un partito diverso da quello per cui verso la quota d’iscrizione. L’ho già fatto altre volte, ma non lo dirò mai a nessuno. Sono sicuro invece che Margiotta non l’abbia mai fatto. Mentre camminiamo fianco a fianco e ci ignoriamo, e io guardo lei, e lei parla al telefono, penso che per lei non debba essere una fatica votare il suo partito. Sono io che mi faccio troppi problemi. Mi chiedo troppi perché. Ad esempio mi chiedo come faccia ad avere delle gambe così belle. Liscie, lunghe, perfette. Con i piedi infilati in quei tacchi. Alzo lo sguardo. Sono dentro l’aula. Margiotta è al mio fianco. “Tutto a posto?” mi chiede. Forse perché sono con gli occhi bassi e la bocca aperta da cinque minuti. “Si” rispondo io dopo qualche secondo, e poi dico qualcosa senza volerlo, senza essermi riuscito a controllare. “Perché?”. Lei mi guarda più attentamente. Sa chi sono. Sa che la guardo da ieri. Sorride appena e scuote la testa “Aveva un’aria strana”. Ma che tono gentile, non me lo sarei mai aspettato. Non da lei. “Posso darti del tu?”. Questa mi prende come un pugno allo stomaco. Annuisco e volgo lo sguardo a lei. Sono suo. Potrebbe farmi fare quel che vuole. “E’ la prima volta per tutti e due, credo” dico. E lei mi risponde di si. “Posso chiederti da dove vieni?”, “Certo” fa lei “sono nata in un paese vicino Lecco, ma vivo da sempre a Milano…sono stata eletta in Puglia”. E chi cazzo se ne frega, penso io, ti ho chiesto di dove sei non dove ti hanno parcheggiata in lista elettorale. Devo evitare di pensare male di lei. In fondo è gentile. Cerco di ritardare le domande importanti, raccontandole da dove vengo e dove sono stato eletto. “Comunque, sono Francesco” concludo allungando la mano destra. Parlare dei luoghi di provenienza e poi presentarsi era il modo migliore per fare conoscenze all’università. Chissà se funziona ancora. Mi stringe la mano, e si lascia guardare meglio.  “Jessica, piacere”. “Siamo vicini in ordine di chiama” dico a bruciapelo, lei fa una faccia stupita solo a metà. Si aspetta che io le racconti che l’ho vista entrare in cabina proprio dopo di me. L’accontento. Con le mie parole si spenge anche il suo sorriso. Ho la certezza che non mi dia troppa importanza, ma credo sia incuriosita. Siamo due persone diverse. Tanto diverse. Forse le piace la mia camicia, la mia cravatta. Oppure il deodorante. Ci salutiamo dopo pochi secondi. Andiamo verso parti diverse dell’emiciclo. Lei si volta per guardare dove mi siedo. Faccio la stessa cosa io. Ora siamo avversari dichiarati. Ora anche lei sa per certo che io considero chi l’ha voluta in lista un delinquente. O forse no. E io so che chi mi ha voluto in lista con quel delinquente ci vuole trattare. Fanno bene, perché vale sempre la pena di trattare. Non so se faccia bene io ad ascoltare quel che dicono senza mai rispondere. Passano ancora pochi minuti di pensieri, poi inizia la chiama. Ancora una volta tanti assenti. Quando “Macherio” compare sul tabellone mi alzo e mi preparo. Margiotta, o Jessica, è già lì. Ci salutiamo con un cenno. Cerco di darmi un tono, con un bel faccione grave e consapevole dell’importanza del momento per il bene del paese. Lei ci casca e pensa che io sia uno che di politica se ne intende. “Secondo te quanto ci vorrà per eleggerlo?” mi chiede. E’ preoccupata che le vada via troppo tempo, forse. Decido di fare lo stronzo, tanto io, con questa, non ci parlo più. “Chissà, dipende da voi” le faccio, e spero che lei sia informata dello stallo nelle trattative. “Dipende anche da voi” dice ridendo. Non ha accusato il colpo. Pazienza, almeno ci ho provato. “Marchini” mi chiamano, e io obbedisco. “Ciao Jessica” le dico, e lei alza la mano, subito dopo entra nella cabina a fianco alla mia. Quando esco lei è già lontana. Avrà fatto di nuovo scheda bianca. Io riprendo posto al mio seggio, faccio una chiamata a casa, penso a cosa mangerò. Lo scrutinio mi porta un po’ di allegria. Il candidato che ho votato ha preso diverse decine di voti in più del previsto. Non è molto, ma almeno è un piccolo segno, che rimarrà stampato nei resoconti stenografici di questa seduta ad imperitura memoria per coloro che un giorno vorranno consolarsi nel pensare che qualcuno ,dentro al parlamento, che prende le cose sul serio ancora c’è.

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